Categoria: Rivista Online - Edizione - Novembre 2016

Ogni descrizione è quasi scontata. L’Amarone fa oramai parte di quel patrimonio culturale che anche i meno avvezzi alle cose enoiche, lo identificano come icona della viticultura tricolore nel mondo. Tante le cantine che producono questo gioiello della Valpolicella e alcune di loro si sono riunite nelle  “Famiglie dell’Amarone d’Arte”. L’associazione vede riunite le famiglie Allegrini, Begali, Brigaldera, Guerrieri Rizzardi, Masi, Musella, Speri, Tedeschi, Tenuta Sant’Antonio, Tommasi, Venturini e Zenato rigorosamente in ordine alfabetico e rigorosamente impegnate nel preservare e trasmettere i valori,  la tradizione e l’arte, di una produzione dalle origini millenarie. L’impegno dei produttori riuniti in questo progetto,  sta nel valorizzare e  custodire le conoscenze frutto del radicamento sul territorio nell’intento di tenere elevati gli standard, come si addice a questo simbolo del made in Italy . La produzione di questo vino implica una viticultura altamente qualitativa, dai terreni scelti alla selezione delle uve, fino al processo di vinificazione vero e proprio capolavoro di tecnica vitivinicola. Questo è possibile attraverso l’adesione delle Famiglie dell’Amarone d’Arte ad un regolamento livellato verso l’alto. L’obiettivo è preservare l’immagine di una Docg,  che così come avviene anche per altre, in Italia e all’estero troppo spesso è minacciata da prodotti di livello non eccelso, frutto dell’interpretazione dei valori minimi del disciplinare a cui molti produttori si adeguano. Ma in questo senso, un vino con duemila anni di storia  come l’Amarone della Valpolicella merita ogni sforzo culturale possibile. Fu dapprima il Reticum dell’Imperatore Augusto, dal carattere dolce e ottenuto proprio come adesso attraverso la vendemmia di uve da appassimento tardivo tra autunno e inverno. Nel medioevo  divenne l’Aciticum, di cui si trovano tracce negli scritti degli eruditi del tempo. In epoca moderna secondo i canoni del gusto attuale, l’amarone da dolce si evolve nella versione attuale secca, incontrando i favori del mercato mondiale nel 1968 anno di riconoscimento della Doc.  Nei secoli è cambiata l’interpretazione del vino ma identica è rimasta la modalità produttiva, aiutata dall’evoluzione delle tecniche di vinificazione. I vitigni utilizzati sono Corvina, Corvinone, Rondinella e Oseleta. I grappoli dopo la raccolta vengono lasciati appassire per circa quattro mesi, adagiati sui  “graticci” in locali dotati di sistemi di aereazione adeguati detti “fruttai”. Durante questo periodo le uve subiscono un calo ponderale del 40%, il risultato è un vino di spiccata personalità, struttura nobile e gusto pieno. Sorprende osservare come al palato i 15 – 16 gradi alcolici sviluppati, risultino integrati in perfetta armonia senza dare mai la sensazione di eccesso, ma piuttosto contribuendo a quella sensazione di confortevole robustezza che sprigiona dal bicchiere. Durante la degustazione i produttori hanno introdotto i loro vini spiegandone per ognuno le peculiarità. Elevato il livello generale di qualità della produzione. Tra quelli assaggiati ottimo l’Amarone della Valpolicella Allegrini, inseme all’ AVC Vigneto Sant’Urbano Speri, AVC Selez. Antonio Castagnedi di Tenuta Sant’Antonio, l’AVC Tommasi, AVC Campomasua di Venturini e l’AVC Zenato. 

BRUNO FULCO