Categoria: Rivista Online - Edizione - Maggio 2016

Dacchè la situazione siriana è entrata in apparente fase di stallo, interrotta da qualche ignobile bombardamento di civili, le attenzioni della stampa e degli osservatori politici si rivolgono ai paesi limitrofi, coinvolti direttamente o indirettamente nella crisi siriana.
Irak,Turchia e Arabia Saudita sono oggetto di osservazione e per alcuni persino  di preoccupazione.
In questa sede prenderemo in esame l´Arabia Saudita.
 
L´Arabia Saudita sta perdendo la guerra, intendiamo, quella del petrolio contro gli USA: "Nessuno a parte Dio può stabilire il prezzo del petrolio” ha dichiarato a maggio scorso il ministro saudita del petrolio, Ali al Naimi, ma affondando i prezzi del greggio ai livelli più bassi, livelli fino a qualche anno addietro impensabili, in molti credono che essa abbia voluto e potuto, senza interventi divini, determinare i costi al di sotto dei 50 dollari al barile di Brent e WTI.
 
L´Arabia Saudita, che si è sempre ritenuta un paese produttore "chiave" e tale vorrebbe rimanere, nel vedere aumentare la produzione petrolifera statunitense del doppio o forse più nell´ultimo quinquennio in particolare in virtù del largo uso della discussa tecnica detta "fratturazione idraulica" (fracking), ha capito che non avrebbe più potuto condizionare il mercato soltanto col diminuire o aumentare la propria produzione; si rendeva necessaria l´eliminazione della concorrenza.
 
La fratturazione idraulica o fracking (dall'inglese hydrofracking), per rendere chiaro il concetto, in geotecnica è lo sfruttamento della pressione di un fluido, nella maggior parte dei casi l´acqua, per creare e poi propagare una frattura in uno strato roccioso nel sottosuolo. La fratturazione, viene eseguita dopo una trivellazione entro una formazione di roccia contenente idrocarburi, per aumentarne la permeabilità al fine di migliorare la produzione del petrolio o del gas da argille contenuti nel giacimento e incrementarne il tasso di recupero.
 
Difronte a questa situazione concorrenziale, l´Arabia Saudita credendo d´aver trovato il giusto antidoto per contrastare la sopravveniente e per altri sopravvenuta supremazia USA nella produzione petrolifera, ha optato per l´aumento della produzione e la conseguente caduta del prezzo del petrolio, per un certo tempo, al fine di rendere antieconomica la pratica del fracking eseguita negli USA.
 
Debellata la concorrenza dei petrolieri statunitensi, essa ritornerebbe arbitra del mercato con tutto ciò che ne consegue.
Ma questo significa voler fare un pò i conti senza l´oste! Il petrolio rappresenta per l´Arabia Saudita più del 95% delle esportazioni e il 70% delle entrate, nonostante la quota di economia non petrolifera sia andata recentemente e sensatamente in crescendo e se le entrate del petrolio diminuiscono per un lungo termine sarà necessario o mettere mano alle preziose riserve estere, già in calo appunto per il basso costo del petrolio e non per ultimo per i pesanti impegni militari nello Yemen o tagliare rigorosamente la spesa pubblica. La prima ipotesi farebbe perdere autorità, diplomaticamente parlando, al Regno Saudita, la seconda renderebbe pericolosamente infelice la popolazione saudità che oggi vive nell´abbondanza e nel benessere, lontana da ogni segnale di crisi.
 
Se poi, l´Arabia Saudita, messa fuori causa la concorrenza statunitense con la politica dei prezzi bassi, ritornasse alla minore estrazione facendo conseguentemente lievitare il prezzo del greggio per rimpinguare le casse nazionali, i petrolieri americani riprenderebbero a loro volta l´estrazione con la seppur costosa tecnica fracking, riportando così la situazione a punto e daccapo. È un vicolo cieco da cui non si può uscire se non tornando sui propri passi!
 
L'oro nero, che piaccia o meno, cambia sorprendentemente lo scenario geopolitico, torna prepotentemente al centro della scena internazionale assieme agli States, che col fracking  diventano leader nell'estrazione di greggio superando infine l´Arabia Saudita. I principi sauditi, a loro volta, ribadiscono che il loro resta pur sempre il «maggiore paese al mondo per riserve disponibili», circa 71 miliardi di barili ancora a disposizione, principalmente nella regione orientale dei mega giacimenti dell'ormai leggendario campo di estrazione di Ghawar, ma, per quanto esposto, è una vittoria di Pirro la supremazia da loro conclamata. Senza mettere in gioco paesi produttori di rispetto come Russia e Iran, che potrebbero turbare ulteriormente i sonni della famiglia reale, l´Arabia Saudita riprogrammi il proprio futuro di conseguenza perchè inesorabilmente sta perdendo la guerra del petrolio.
 
E poi, con l´evoluzione della tecnologia (fracking insegna), si é giunti al punto in cui le tradizionali fonti energetiche saranno sostitituite, seppur progressivamente, con fonti alternative; le energie pulite, rinnovabili o inesauribili. Ad ulteriore conferma della tendenza mondiale ad un minor uso del petrolio come fonte energetica, Goldman Sachs oggi non modifica la sua previsione di settembre, secondo la quale, il prezzo del greggio potrebbe scendere fino a 20 dollari al barile e resterà a bassi livelli non per un quinquennio, ma addirittura per un decennio. Il rally del petrolio pare sia giunto al traguardo così come le economie dei paesi produttori se non correranno ai ripari!