Categoria: Rivista Online - Edizione Novembre 2015

Giovanni XXIII nel messaggio inaugurale al Concilio Vaticano II affermava che “in faccia ai Paesi sottosviluppati la chiesa si presenta quale e vuole essere, come la chiesa di tutti, e particolarmente la chiesa dei poveri”.

Questa scelta dei poveri si ritrova in una serie di punti del documento conciliare “Gaudium et Spes” che tratta il rapporto tra la chiesa e il mondo contemporaneo, “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore” (GS1); “Anche nella vita economico-sociale sono da tenere in massimo rilievo e da promuovere la dignità della persona umana, la sua vocazione integrale e il bene dell'intera società. L'uomo infatti è l'autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale”(GS63); “Lo sviluppo economico deve rimanere sotto il controllo dell'uomo. Non deve essere abbandonato all'arbitrio di pochi uomini o gruppi che abbiano in mano un eccessivo potere economico, né della sola comunità politica, né di alcune nazioni più potenti. Conviene, al contrario, che il maggior numero possibile di uomini, a tutti i livelli e, quando si tratta dei rapporti internazionali, tutte le nazioni possano partecipare attivamente al suo orientamento. È necessario egualmente che le iniziative spontanee dei singoli e delle loro libere associazioni siano coordinate e armonizzate in modo conveniente ed organico con la molteplice azione delle pubbliche autorità” (GS65); “Per rispondere alle esigenze della giustizia e dell'equità, occorre impegnarsi con ogni sforzo affinché, nel rispetto dei diritti personali e dell'indole propria di ciascun popolo, siano rimosse il più rapidamente possibile le ingenti disparità economiche che portano con sé discriminazioni nei diritti individuali e nelle condizioni sociali quali oggi si verificano e spesso si aggravano” (GS66); “Dio ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene all'uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli, e pertanto i beni creati debbono essere partecipati equamente a tutti, secondo la regola della giustizia, inseparabile dalla carità (GS69).

Era il 1965 e in quel periodo la tematica dei poveri e dei cambiamenti prodotti dalla società industriale avanzata poteva contare sul cardinale arcivescovo di Bologna Giacomo Lercaro e su un gruppo di vescovi e teologi francesi e latino americani. Al temine del concilio costoro si riunirono in Roma presso le catacombe di Santa Domitilla, al temine dei lavori firmarono un documento che è conosciuto come il “Patto delle catacombe”.

Negli anni successivi sarà sempre più rilevante il ruolo delle chiese latino-americane rispetto alla visione ecclesiologica europocentrica.

Questo ruolo sempre più importante che le chiese latino-americane avrebbero assunto all’interno della chiesa era stato previsto fin dal secolo diciottesimo, prima da Pio IX (che nel 1858 istituì “il Pio Collegio Latino-americano), poi Leone XIII nel 1899 convocò a Roma il “primo concilio plenario latino-americano”, in ultimo Pio XII nel 1955 promosse la costituzione della CELAM, Conferenza Episcopale Latino Americana, con lo scopo di analizzare e approfondire le tematiche di interesse comune.

In quel periodo del dopoguerra nel continente latino-americano grande influenza aveva avuto il metodo della ricerca socio-religiosa portato avanti dal movimento belga-francese della JOC, Jeunesse Ouvriere Chretienne.

Il fallimento del progetto economico-sociale nord americano che avrebbe dovuto favorire lo sviluppo de vari Paesi latino-americani fece aumentare i livelli di povertà con il conseguente abbandono delle campagne e la migrazione nelle periferie delle grandi città. Tali fenomeni sociali favorirono varie forme di attrazione verso la rivoluzione cubana favorendo l’ascesa al potere di molte dittature militari.

La mutata situazione storica portò la CELAM ad avviare una riflessione teologica autoctona.

Il 26 marzo 1967 Paolo VI rendeva nota l’Enciclica Populorun Progressio per cui la “Questione sociale è una questione Morale”. L’enciclica inizia trattando lo sviluppo dei popoli “1. Lo sviluppo dei popoli, in modo particolare di quelli che lottano per liberarsi dal giogo della fame, della miseria, delle malattie endemiche, dell’ignoranza; che cercano una partecipazione più larga ai frutti della civiltà, una più attiva valorizzazione delle loro qualità umane; che si muovono con decisione verso la meta di un loro pieno rigoglio, è oggetto di attenta osservazione da parte della chiesa. All’indomani del Concilio ecumenico Vaticano II, una rinnovata presa di coscienza delle esigenze del messaggio evangelico le impone di mettersi al servizio degli uomini, onde aiutarli a cogliere tutte le dimensioni di tale grave problema e convincerli dell’urgenza di una azione solidale in questa svolta della storia dell’umanità”.

In molti ambienti ecclesiali, dunque, si cominciò a parlare di liberazione. Durante l‘assemblea della CELAM nel 1968 in Colombia, a Medellìn, emerse una teologia propria latino-americana. Una teologia che ha a fondamento la categoria della liberazione nella doppia accezione di liberazione dal peccato con la venuta di Cristo e liberazione dalle ingiustizie e dal sottosviluppo del tempo storico; una pastorale che cerca di mettere in relazione il “luogo teologico” dove si incontra Cristo con il “luogo sociale” dove si concretizza la rivelazione e la salvezza.

La crisi delle vie ordinarie della politica, dovuta anche alle dittature militari, favorì la politicizzazione di molti movimenti e gruppi che fecero passare la riflessione teologica scientifica in secondo piano rispetto alla scelta etico-politica per i poveri.

Questa situazione obbligò molti militanti cattolici alla clandestinità e ad affiancarsi ai movimenti marxisti-leninisti presenti nei vari Paesi sud-americani.

Queste modalità pastorali trovarono sempre più opposizione all’interno della chiesa, con documenti ufficiali, prese di posizione critica nei confronti dei gruppi di cristiani che si erano schierati per la liberazione sociale e politica e nei confronti della stessa teologia della liberazione.

Molto forte era la preoccupazione per l’apertura al marxismo da parte di alcuni gruppi. Queste aperture vennero contrastate e condannate nelle successive assemblee della CELAM a Puebla nel 1979 e a Santo Domingo nel 1992.

Agli inizi del terzo millennio, con l’affermarsi della nuova organizzazione mondiale, le chiese sud-americane hanno abbandonato la metodologia della teologia della liberazione, mantenendo l’opzione per i poveri, come insegnato da Cristo, e dedicando maggiore attenzione all’identità dei popoli indigeni e alle loro culture e tradizioni. Riguardo alla questione sociale vengono evidenziati gli effetti della globalizzazione, riguardo alla emigrazione, alla violenza, alla corruzione e alla necessità di proteggere la biodiversità e i sistemi naturali.

La globalizzazione

La Chiesa è obbligata a confrontarsi con i cambiamenti avvenuti con la globalizzazione, uno dei più importanti studiosi dei nuovi assetti mondiali, Ralf Dahrendorf, denuncia che “Lo storico concetto di democrazia vive la stessa crisi epocale dello Stato-nazione. Un elemento da valorizzare e da mettere al centro della azione politica è la coesione culturale dei territori”, “Uno dei problemi della democrazia popolare è che decisioni importanti, per la popolazione mondiale, vengono prese da “Organismi” non democratici come le N.U., il G7, la Nato, la Banca Mondiale, la Commissione Europea. Il problema vero è che la nostra azione democratica, il voto, non potrà mai avere nessuna influenza sulle decisioni di questi Organismi”.

Dahrendorf ci suggerisce anche una “ricetta sociale”, “Perché la glocalizzazione? Perché sta emergendo sempre più una classe che non si sente appartenente ad una identità nazionale, che vive una società virtuale ma che detiene gli assets delle nuove professioni collegate alla conoscenza, quelli che Rosabhet Moss Kanter chiama le tre C “Concetti, Competenze, Connessioni”. Queste persone apolidi stanno creando una nuova società, per cui loro diventano sempre più ricchi a scapito della maggioranza che vede ogni giorno diminuire la sua possibilità di contrattazione.

La glocalizzazione è lo strumento che può limitare il potere alla “global class” impedendogli di fissare i trend, di indicare le direzioni dello sviluppo e di esercitare l’egemonia culturale. E’ indispensabile limitare l’influenza di questa classe globale sulle nuove generazioni, mediante politiche reali di aggancio alla realtà in cui vivono, dove hanno gli affetti, le risorse economiche e dove cresceranno i propri figli.

Il pensare di poter eludere i poteri della democrazia tradizionale a medio termine crea dei danni irreparabili ai sistemi di socializzazione locale.

Non è accettabile l’idea che la dimensione locale sia vista solo come un eden da utilizzare in certi periodi dell’anno, dove il paesaggio naturale ti gratifica, dove trovi la pace, cibi sani, la tranquillità, e non un luogo dove una comunità locale vive e prospera con regole completamente diverse da quelle della classe globale.

Occorre far rinascere l’orgoglio di essere nati in un territorio e di portarsi dentro una tradizione e un tipo di socializzazione frutto di millenni di storia.

Solo la glocalizzazione ci può salvare da romantiche fughe in avanti alla ricerca di “mondi migliori”, che spesso portano a forme di potere forte e antidemocratico.

Una Pastorale in Uscita

In questi anni all’interno della Chiesa sud-americana, attraverso un dibattito serrato, viene superato il fraintendimento portato avanti dalla teologia della liberazione: ossia, un conto è constatare che lo sfruttamento e la lotta di classe esistano, altro è proporre la stessa lotta di classe come metodo per raggiungere la giustizia.

La conferenza delle chiese sud-americane tenutasi ad Aparecida nel 2007 si concluse con un documento che evidenziò i problemi delle chiese sud-americane, dal distacco di molti cattolici verso confessioni pentecostali, al nuovo atteggiamento che il clero si impegnava a testimoniare nelle periferie dove vivono gli ultimi.

Illuminante è il messaggio di Aparecida del cardinale J.M. Bergoglio ai presbiteri “Che l’opzione per i poveri sia “preferenziale” significa che “deve attraversare ogni nostra struttura e priorità pastorale” (396). Chiesa “compagna di strada dei nostri fratelli più poveri, persino fino al martirio” (396). Ci invita a “farci amici dei poveri” (257), ad una “vicinanza che ci fa amici” (398), tenuto conto che oggi “difendiamo troppo i nostri spazi di privacy e godimento, e ci lasciamo contagiare facilmente dal consumo individualista. Perciò, la nostra opzione per i poveri corre il rischio di rimanere a livello teorico o meramente emotivo, senza una vera incidenza nei nostri atteggiamenti e nelle nostre decisioni” (397). Con un sano realismo, Aparecida chiede di “dedicare tempo ai poveri” (397). Viene così delineato il profilo di un sacerdote che “esce” verso le periferie abbandonate, riconoscendo in ogni persona “una dignità infinita” (388). Questa opzione di “farsi vicino” non ha l’obiettivo di “procurare conquiste pastorali, bensì quello della fedeltà nell’imitazione del Maestro, sempre vicino, accessibile, disponibile per tutti, desideroso di comunicare vita in ogni angolo della terra” (372)”.

Grazie al continuo lavoro di rinnovamento all’interno della chiesa cattolica portato avanti da Benedetto XVI, il cardinale J.M. Bergoglio ha potuto avviare quel processo pastorale di una chiesa aperta ai più bisognosi; illuminanti in tal senso sono le due encicliche “Evangelii Gaudium” e “Laudato Si”.

L’enciclica “Laudato Si” ci invita ad essere custodi della natura, ad essere più responsabili perché siamo diventati pericolosi per la nostra sopravvivenza e per tutto ciò che esiste sulla faccia della terra; un richiamo alla coscienza per salvaguardare noi stessi, uno stimolo ad uscire da questo modello economico-sociale nel quale ci hanno rinchiusi per riacquisire la consapevolezza che siamo persone e non soggetti consumatori. Papa Francesco ci offre una ricetta che ha a fondamento l’amore e il rispetto delle persone e della natura.

Come cristiani dobbiamo prendere atto che questo tipo di società industriale utilizza gli stessi strumenti di condizionamento dei totalitarismi del secolo passato, strumenti riassunti e rielaborati per fare in modo che la gente compri quello che le viene detto di comprare: il consumo come strumento per tenere immobili le persone.

Viviamo in una società nella quale la nostra vita è scandita quotidianamente dalla meccanizzazione, dal trasporto, al lavoro e al tempo libero.

Oggi la maggior parte delle persone abitano il mondo virtuale e questo fenomeno sociale si allarga sempre più. Le persone collegate al proprio apparato vivono in un mondo irreale, conducono una vita che li condiziona e non gli permette di essere connessi con tutto quello che succede intorno a loro.

Un altro strumento di condizionamento è l’ansia. In una epoca dove le invenzioni e le innovazioni hanno liberato del tempo dal lavoro quotidiano, permettendo alle persone di guardarsi attorno e capire più cose, si inventano crisi e continui fermenti sociali in modo che le persone, pur stando meglio e avendo più tempo a disposizione, non abbiano comunque modo di usare questo maggior tempo e siano schiacciate dall’ansia.

Il condizionamento che la nostra mente subisce ci impedisce di raggiungere la nostra felicità, facendola dipendere sempre da qualche persona, da qualche situazione in evoluzione, da qualche altro elemento difficile da definire o da qualche condizione improbabile da soddisfare

La maggior parte della gente o sta nel passato, vivendo di ricordi, o sta nel futuro, pensando a quello che vorrebbe fare. Papa Francesco ci ricorda che il presente è l’unico tempo che abbiamo, e che il passato ed il futuro fanno parte sempre del presente, quindi è solo il presente che ci permette di essere in sintonia con tutto quello che esiste.

Abbiamo perso la capacità di gioire del “Qui e Ora”, in questo vissuto c’è tutto quello che è necessario per sentirsi persone attive, per comprendere la perfezione che ci circonda, evitando di sovrapporre le creazioni artificiali indotte nella nostra mente.

Se vogliamo aiutare i fratelli dobbiamo dare valore al presente, tenendo nel giusto conto che la gioia di vivere il presente è attenuata dalla paura che viene dal passato e dall’ansia del futuro, ma se il futuro è figlio del presente la cosa migliore da fare è creare le condizioni per un futuro migliore.

La teologia della glocalizzazione ci invita ad essere testimoni del messaggio evangelico, di una cultura del “Qui e Ora”, della vita presente; testimoni delle relazioni con gli altri, con il pianeta che ci circonda. Siamo invitati a ritornare ad una concezione che con la creazione ogni cosa ha un valore, ha una sua importanza; coscienti che le infinite risorse della madre terra non sono inesauribili e che il loro ipersfruttamento comporta delle reazioni dal sistema terra.

L’enciclica “Laudato Si” ci richiama al rispetto della creazione - la natura non ci appartiene ci è stata messa a disposizione gratuitamente -, ci incita a godere di ciò di cui abbiamo bisogno e di condividerlo con chi ci circonda compresa la natura, preso atto che con la fisica quantistica, superando la fisica classica, abbiamo riscoperto che tutto è animato, che ogni cosa vive, anche quello che noi chiamiamo invisibile.

Il pianeta deve essere considerato come un unicum vivo e intelligente, nel quale ogni elemento fa parte di un sistema che si autoregola di continuo, siamo in un mondo dove tutto è vivo e cosciente, vivo non come lo intendiamo noi, vivo nel senso che è intelligente, questo ci deve portare ad accettare che in tutte le cose c’è una coscienza e che ne conseguono dei comportamenti logici sequenziali.

L’enciclica “Laudato Si” ci ricorda che noi apparteniamo alla terra e non viceversa, dobbiamo trattarla e rispettarla come una madre, con amore e rispetto, nel ripercorrere il sentiero che ci permette di riappropriarci del senso perduto di appartenenza e sacralità della vita nei suoi diversi aspetti.

La pastorale di Papa Francesco ci invita ad accantonare alcuni miti moderni, come l’idea di progresso o l’intenzione di fare carriera, per mettere al centro l’impegno ad essere sempre noi stessi in ogni momento della vita. Dobbiamo raccogliere l’invito a camminare nella bellezza, sia naturale che umana, consci che nella vita si incontra anche il dolore.

Siamo chiamati a fare nostri gli insegnamenti di San Francesco, apprezzare la bellezza del sole, della luce, degli alberi, la freschezza dell’acqua, del buon cibo, dell’amore, della reale sostanza della vita che è la gioia nella sua espressione del vivere quotidiano; vivere nell’accettazione del dolore, anche quello fa parte della vita perché ci permette di apprezzare di più il momento in cui il dolore è lenito; vivere fino a tarda età apprezzando il magico disegno di cui facciamo parte che è la vita che ci circonda, accettandola per quello che è: un dono meraviglioso.

Papa Fratesco ci invita a sfatare un inganno della nostra cultura, che ci vuole unici -  i migliori presenti sulla terra - la sua pastorale ci fa capire che “io sono in Te nei tuoi errori, nella Tua ombra, nella Tua luminosità, io sono Te assolutamente in tutto, sono il riflesso di te stesso e che forse le cose che meno mi piacciano di Te sono le cose che meno mi piacciano di me stesso”.

Con l’insegnamento di Papa Francesco il luogo sociale condiviso è più importante del luogo fisico; ossia da dove guardiamo, valutiamo e giudichiamo, è più importante di dove, fisicamente siamo nel mondo. Francesco ci obbliga a riflettere su come il messaggio cristiano possa rimanere autenticamente cristiano pur aprendosi e dialogando con le scienze e la cultura, con le altre tradizioni religiose che non discendono da Abramo.

 

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