Categoria: Rivista Online - Edizione - Novembre 2016

Attilio Bolzoni è una firma del giornalismo italiano che ha seguito e segue uno spaccato fondamentale per comprendere politiche e logiche di potere di questo Paese: le guerre di mafia. Un periodo che ha mutato forme, ma che oltre alla naturale e sacrosanta onda emotiva, ha creato i presupposti per la nascita di movimenti antimafia con basi diverse: regolati su principi come l’economia e il territorio.
Su quegli anni Bolzoni ha scritto, seguito, parola dopo parola, rendendo conto ai lettori dalle colonne del quotidiano Repubblica.
È stato inviato in Iraq. Ha scritto libri, subito processi, è stato, come si suol dire, in prima linea.
Quest’anno verrà insignito, nell’ambito della manifestazione itinerante Kaos – il festival dell’editoria, della legalità e dell’identità siciliana – del premio “gesti e parole di legalità”. Insieme a lui il magistrato Alfonso Giordano.
Abbiamo incontrato Attilio Bolzoni, per chiedergli alcune impressioni.
Qual è secondo te il senso dei premi adesso, come gesti e parole di legalità?
Premetto: la parola legalità mi fa venire i brividi. In Italia hanno fatto carne di porco in nome della legalità. In Sicilia hanno fatto scempio. Ma detto questo nel caso del premio non bisogna essere superbi. Bisogna andare e ricambiare l’affetto e il riconoscimento.
Il premio verrà ritirato a Racalmuto, dove è nato e vissuto Leonardo Sciascia, cosa insegna adesso, ai ragazzi del 2016, questo scrittore?
Gli scrittori insegnano sempre tutto, sono universali. Io inviterei i ragazzi a leggerlo, a prender e in mano il suo primo libro che ha svelato la mafia agli italiani: il giorno della civetta, a vedere il film che ne ha tratto Damiano Damiani. Personalmente sento la mancanza di due italiani: Pier Paolo Pasolini e Leonardo Sciascia. Il vuoto che hanno lasciato è enorme.
Consigli a un ragazzo di intraprendere il mestiere di reporter? E perché?
Sì, perché è un mestiere bellissimo, ma faticoso, da ostinati. Bisogna mantenersi informa, anche fisicamente. Dormire bene, mangiare bene. Se vai a fare il cronista dall’altra parte del mondo devi essere in salute, allenato e attrezzato. Poi è un mestiere in cui deve metterci passione, ovunque lo fai se nel cortile di casa tua o in Iraq, devi essere attento, osservare.
A Monterey, un giovane e notissimo giornalista messicano, Diego Osorno, mi ha invitato ad una trasmissione radio che s’intitola Los Perros Romanticos. In italiano significa Cani romantici. Ecco come dev’essere un reporter, un cane – fiuto, istinto della notizia, che non molla l’osso - ma col cuore.
Giovanni Zambito <Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.>
Fonte: Goffredo Palmerini
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