Categoria: Rivista Onlline - Edizione Ottobre 2016

 

I continui richiami che Papa Francesco fa sulla situazione mondiale e le conseguenti ricadute sulle persone e sui popoli sono condivisi universalmente dai cittadini.

L’aspetto che lascia sconcertati e la completa “sordità” da parte degli Stati ai richiami del Vescovo di Roma quando evidenzia fatti e comportamenti che riguardano direttamente l’esistenza di uno Stato e il suo riconoscimento a livello internazionale. A questo riguardo sorgono spontanee delle domande:

Gli elementi costitutivi di uno Stato contemporaneo sono ancora il popolo, il territorio e la sovranità?

Come Europa occidentale siamo tuttora ancorati alle concezioni classiche di “Stato” e “Nazione”?

Intendiamo, ancora, come Stato una istituzione che governa e regolamenta la vita all’interno di un territorio delimitato, che detiene il controllo della forza armata, e il suo compito è quello di far rispettare le leggi emanate e approvate dagli organismi incaricati?

La Nazione la possiamo ancora definire come una comunità di individui aventi razza, lingua, religione, storia e tradizioni comuni e con la coscienza, requisito quest'ultimo essenziale ai fini di potersi ritenere tale, di costituire una unità etico-sociale proprio in virtù della sussistenza di siffatti identici caratteri distintivi?

Durante il secolo scorso abbiamo assistito al consolidarsi di strutture governative centralizzate che hanno consolidato le loro prerogative su ambiti territoriali compattati e riconoscono, nei rapporti reciproci, il privilegio della sovranità. In questo contesto la progressiva organizzazione di sistemi politici statali è avvenuta con riferimento solo parziale alle identità etnico-culturali e, di regola, anche a prescindere da esse.

Finita la seconda guerra mondiale le democrazie si sono consolidate e hanno dato vita a quelle forme istituzionali definite Stato nazione.

Gli elementi costitutivi degli Stati nazione sono i principi e i valori che papa Francesco denuncia come violati sistematicamente anche da Stati che ad essi si richiamano nella carta costituzionale.

Allora come è possibile che quei principi e valori rimangono scritti solo sulla carta? Quali sono le cause che determinano questa situazione? Quali riflessi hanno sulle visioni di Stato alle quali siamo ancorati?

Se come cittadini vogliamo rimanere attori e non spettatori, nella definizione delle politiche degli Stati in cui viviamo, dobbiamo analizzare i cambiamenti in atto e le modalità con le quali si manifestano.

Nell’epoca della globalizzazione viviamo in piena crisi dello Stato nazione. Facciamo parte di una società interessata più al nostro essere consumatori piuttosto che lavoratori. Una volta l’esclusione sociale era conseguente al non avere un lavoro, oggi al non acquistare i prodotti tipici del gruppo.

Le battaglie fatte per far affermare i principi della rivoluzione francese sono rimaste sulla carta una volta preso atto dell’aumento delle disuguaglianze, delle segregazioni e dell’esclusione.

La globalizzazione e le forze transnazionali sono i fattori principali che determinano la fine dello Stato nazione? La globalizzazione come modifica i due concetti fondanti di uno Stato, territorialità e sovranità?

Per le nuove filosofie politiche, che sono a fondamento della globalizzazione, il concetto di sovranità non è più legato, solamente, al territorio in cui lo Stato esercita la sua potestà, esso viene estrapolato dal territorio e per sovranità comincia ad intendersi la piena indipendenza di uno Stato nel perseguire i propri interessi a livello globale.

Alcuni filosofi affermano che la sovranità si “deterritorializza”; il territorio si globalizza, e allo stesso tempo si riterritorializza a seconda degli interessi collegati alla visione di sovranità, in questo modo le diversità territoriali tendono sempre più ad accentuarsi, a frastagliarsi.

Con la globalizzazione si è concretizzato il passaggio dal sistema economico “fordista” a quello “postfordista”, risultato la «compressione spazio-temporale», che agisce sul concetto di territorialità e inevitabilmente lo trasforma. Un sistema che erode, sistematicamente, il potere del livello territoriale nazionale dando vita a un potere sovranazionale, ossia un potere superiore a quello dello Stato, come l’Unione Europea, e un potere infranazionale, cioè un potere territoriale entro lo Stato, che assume sempre più importanza tanto da metterne in pericolo l’unità e l’identità nazionale.

Lo Stato nazione subisce una dispersione dei suoi poteri, si ritrova schiacciato sia dall’alto che dal basso; nuove interpretazioni di territorialità lo privano dell’oggetto sul quale egli esercita il potere. Il medesimo discorso vale per il concetto di sovranità, la globalizzazione è causa della parziale dislocazione della sovranità dello Stato, la quale viene ceduta ad organi sovranazionali o micronazionali.

Si ha l’impressione di essere passati da una epoca dove esisteva un ordine, durante la guerra fredda; a una epoca segnata dalla globalizzazione dove regna il disordine.

La globalizzazione ha minato i fondamenti dello Stato nazione, essa agisce a livello economico, militare e culturale, ossia sulle tre colonne che danno legittimità ad uno Stato. L’economia è il nuovo parametro che definisce l’ambito di sovranità di uno Stato, per cui grazie al modo di produrre postfordista, tramite le multinazionali, uno Stato esercita la sua sovranità anche sui territori dove sono localizzati questi sistemi produttivi.

Lo Stato nazione perde il controllo sull’economia anche perché le controversie sul commercio internazionale vengono risolte non più dal potere giudiziario pubblico ma privato; esistono grandi studi legali che danno vita ad una vera e propria giustizia privata, oppure agenzie di valutazione del debito che svolgono una funzione di sorveglianti dell’economia globale e di credibilità dell’economia di uno Stato. Il potere economico e giudiziario-economico sfuggono dal controllo dello Stato nazione, il suo margine di manovra è sempre più limitato e privatizzato.

Un altro aspetto che riguarda il rapporto globalizzazione-economia è l’aumento del flusso di capitali: essi si muovono in uno spazio virtuale che non è più sotto il controllo dei governi. Anche il modo di agire militare si è dovuto adeguare alla globalizzazione. La costituzione italiana prevede che le Forze Armate hanno il compito di difendere l’integrità del territorio nazionale, le istituzioni democraticamente elette e di supportare la cittadinanza in caso di calamità naturali. La globalizzazione ha modificato anche il ruolo delle Forze Armate per cui si è passati “dal chi difendersi” al “cosa difendere e come”. Di conseguenza la guerra oggi assume i caratteri della globalizzazione, essa non ha più limiti, confini, si svolge in qualsiasi luogo e tempo, e raramente si assiste ad un conflitto tra Stati. E qui si ricollegano le continue denunce di papa Francesco sulle conseguenze, per cui a milioni di persone non rimane altro che mettersi in cammino, preso atto che il luogo in cui vivono non garantisce più la sopravvivenza. Francesco cerca di riportare il problema dal livello politico-economico a quello antropologico.

Anche l’aspetto culturale di uno Stato nazione deve fare i conti con la globalizzazione, che produce come effetto una crisi delle identità; essa priva un gruppo nazionale di quei caratteri che lo distinguono dagli altri gruppi, imponendo, appunto, una cultura globale. Per non soccombere a questo livellamento di culture, la risposta più immediata è un rafforzamento del locale; ciò che assicura protezione è consolida le proprie specificità, ma questo comporta inevitabilmente un rafforzamento del nazionalismo.

Dal punto di vista antropologico viviamo un momento storico in cui la società non si identifica più nello Stato nazione ma nella globalizzazione. Una società che si addentra in una nuova modernità, dove il rischio è all’ordine del giorno, contrassegnata dall’attesa dell’inaspettato e dalla scelta immediata, che dominano sempre più la scena della vita quotidiana.

La realtà trasformata dalla globalizzazione si articola, più che attorno alla contrazione spaziotemporale, al senso di precarietà che pervade il sistema alla ricerca di continue alternative; le conseguenze di questa nuova realtà del nostro tempo sono: l’inevitabile emarginazione, l’isolamento e la discriminazione.

Da alcuni anni la società che avanza viene definita “società liquida”, interpretazione sociologica che considera l’esperienza individuale e le relazioni sociali segnate da caratteristiche e strutture che si vanno decomponendo e ricomponendo rapidamente. L'incertezza attanaglia la società moderna, la paura comincia ad impadronirsi delle coscienze considerato che le certezze dei sistemi politici precedenti sono come evaporate, lasciando il posto ad una vita liquida sempre più frenetica e costretta ad adeguarsi alle attitudini del gruppo per non sentirsi esclusa. L'esclusione sociale elaborata non si basa più sull'estraneità al sistema produttivo o sul non poter comprare l'essenziale, ma sul non poter comprare quello propagandato, indispensabile a sentirsi

parte della modernità. Le nuove teorie sociologiche ritengono che il povero, nella vita liquida, cerca di standardizzarsi agli schemi comuni, ma si sente frustrato se non riesce a sentirsi come gli altri, cioè non sentirsi accettato nel ruolo di consumatore. In tal modo, in una società che vive per il consumo, tutto si trasforma in merce, come ci ricorda papa Francesco “l'essere umano considerato merce”.

I problemi conseguenti alla globalizzazione sono ancora governabili al livello nazionale? L’organizzazione attuale degli Stati è in grado di rispondere alla nuova antropologia figlia della globalizzazione.

Con la globalizzazione il mercato ha sostituito le ideologie e ha favorito l’espandersi delle forze transnazionali del liberismo e della competizione, e di conseguenza è necessario controllare e gestire, a livello internazionale, queste forze in modo che non provochino il caos che potrebbe regnare se queste fossero lasciate libere di agire. Una delle proposte più rispondenti alle esigenze emergenti tra i vari Stati è quella del federalismo, che è transnazionale, esso ha il vantaggio di trovare una via di mezzo tra il locale e il globale in quanto il potere non viene controllato né dall’alto né dal basso ma in maniera orizzontale. In questa logica cambia anche la visione e il ruolo della politica che imitando l’economia deve superare il livello nazionale. La politica deve cambiare i paradigmi su cui si è fondata nel secolo passato, deve cercare di dar vita ad un nuovo modello di Stato non più basato su una sovranità esclusiva, ovvero sulla pretesa di comandare sul proprio territorio, ma su una sovranità inclusiva che risponde a dei principi politici, economici e culturali globali.

Il nuovo modello di Stato, nell’era della globalizzazione, è quindi quello transnazionale; le forze transnazionali non sono solo le responsabili dell’erosione dello Stato ma sono anche la risposta. Uno Stato Federativo rappresenta un modello ibrido, ovvero non esclude totalmente il principio di territorialità e di sovranità, ma lo trasforma, ossia si passa dal piano nazionale a quello sovranazionale; è poi un modello di Stato che riconosce l’irreversibilità della globalizzazione e adotta una politica della globalizzazione, senza mai perdere di vista la realtà locale.

Il tipo di Stato che si potrebbe definire “liquido” è uno Stato che nella sua organizzazione sostituisce la sussidiarietà verticale, tipica della Stato nazione, con la sussidiarietà orizzontale, dove tutti i cittadini si sentono parte integrante di un sistema non omogeneo ma in grado di difendere gli interessi di tutti senza creare stravolgimenti locali o rivolte territoriali.

Ma per favorire queste nuove visioni statuali occorre che si modifichi anche l’antropologia che ha guidato le persone negli ultimi secoli, per cambiare le strutture sociali occorre cambiare le coscienze, l’uomo deve cercare di avere uno sguardo cosmopolita, necessario a fare quel salto di qualità epocale, se non si vuole ancorare la globalizzazione solo agli aspetti economici. La grande sfida che ci aspetta è quella di divenire cittadini del mondo nella diversità.

Corrado Tocci