Categoria: Rivista Online - Edizione Settembre 2016

 

 

Dire Si al prossimo referendum costituzionale puo’ costituire un cambiamento storico per il Paese. Che emblematicamente è stato segnato nella sua storia repubblicana da una instabilità politica che ha portato in 60 anni a 66 governi. Sarebbe il segno di una modernizzazione del paese ed un passaggio essenziale per rendere più rapida la ripresa italiana, oggi legata a infiniti compromessi e asfissiata da lobby e caste che hanno favorito mille scandali e la disaffezione dei cittadini verso la politica con la metà di essi che non partecipa più neanche con il solo voto.
Il referendum del prossimo ottobre (salvo cambiamenti in ragione dell’approvazione della legge di stabilità del prossimo 20 ottobre) è, contrariamente a quanto sostengono anche molti fautori del Si, un voto politico, più che politico, diremmo forzando, politicissimo.
Questo non perché, come dicono i fautori del No, è in ballo il futuro di Renzi, che avrebbe personalizzato il voto, e aggiungo dello stesso PD e del governo, ma per il semplice motivo che l’eventuale vittoria del Si, metterebbe in soffitta gli ultimi 60 anni di politica italiana, con i suoi 66 governi, con il suo bicameralismo perfetto che ormai costituisce un unicum nelle politiche parlamentari occidentali, oltre che determinare, nel suo combinato con la nuova legge elettorale, nuovi effetti destinati a cambiare per sempre il panorama politico italiano.
Ecco perché dovrebbe sorprendere che il gioco dei comitati del No, opposizione unita dai grillini alla Lega passando per Forza Italia, sia teso a far credere che la posta in palio sia unicamente il destino di Renzi e dei suoi, una cosa avallata dalla leggerezza e forse complicità di gran parte della stampa e dell’informazione specie televisiva. Un’informazione che sembra più interessata a suscitare polemiche che a dare notizie ed analizzare gli importanti passaggi politici di questo complesso inizio del nuovo millennio.
Del resto, basta guardare i giornali di questi giorni o vedere i telegiornali che, innanzi ad una crisi epocale dell’Europa, con la Brexit del regno unito ed effetti drammatici nelle borse e anche sul futuro della costruzione europea, sfornano titoloni e copertine dedicate al “nein” della Merkel ad una maggiore flessibilità. Un "nein" peraltro dichiarato alla stampa tedesca, nella difficile congiuntura delle loro banche messe sotto osservazione dal FMI di Christine Lagarde. Una notizia sicuramente non nuova e marginale, ma utile, provincialmente, ad impressionare l’opinione pubblica italiana ed un regalo alle opposizione in chiave “antirenziana”. Cosi anche nelle recenti amministrative dove ancora una volta la stampa si è spesa in mille titoli ad effetto su Verdini (che ha l’1% dei voti) e il suo voto a favore dei candidati PD a Cosenza e Napoli, mettendo spesso ai margini gli importanti temi relativi al futuro delle metropoli e delle città italiane.
Una cosa sconcertante e che andrebbe analizzata, specie quando è attuata dal servizio pubblico, che impropriamente si fa strumento di battaglia politica.
Cosi anche questo referendum, che potrebbe avere effetti di grande cambiamento sugli scenari della politica futura, che potrebbe garantire la governabilità e stabilità che tradotte significano più investimenti, più occupazione, maggiore capacità di intervento sui grandi temi italiani, diventa l’occasione per ridurre il tutto banalmente al futuro di Renzi. Dietro cio’ vi è una grande ipocrisia e il tentativo di indurre i cittadini in errore, manipolandoli, lavorando sulle rabbie ed insoddisfazioni di molti, creando una personalizzazione che consenta al establishment attuale di farla ancora una volta franca.
L’ipocrisia è evidente se si pensa che l’affermazione di Renzi, per cui se perde il referendum lascia la politica, è un’affermazione semmai ovvia e seria. Un’affermazione che corrisponde al personaggio e al nuovo corso del PD, che vorrebbe vedere nella politica un mezzo a servizio dei cittadini e non una comoda professione con cui arricchirsi (cio’ è anche uno dei motivi alla base della famosa “rottamazione”).
Del resto, si puo’ essere certi che se il Si fallisse, un minuto dopo tutti i partiti dell’opposizione chiederebbero, ovviamente, la testa di Renzi e la caduta del governo. Ma meglio di tutti ad esprimere questa nuova filosofia politica del PD è proprio Renzi il quale in un suo articolo su L’Unità ha dichiarato quanto segue: “Dicono che io ho sbagliato a dire che se perdo vado a casa: e secondo voi io posso diventare “un pollo da batteria” che perde e fa finta di nulla? Pensano forse che io possa diventare come loro? Accusano me di voler personalizzare perché loro sono preoccupati che in Italia si affermi il principio sacrosanto che chi perde va a casa.”
L’attuale premier puo’ essere simpatico o antipatico ma di certo è uno coerente sui suoi principi, per i quali se si perde, sul motivo stesso per cui è nato il governo da lui presieduto, si deve prenderne atto e andare a casa.
Ma questa frase lascia intendere anche un’altra cosa. Ovvero che il cambiamento ha una sola via ed è quella del referendum. In tal senso fa riflettere che una simile occasione non venga colta non tanto dai conservatori di destra, ma dai grillini, i quali si presentano come forza del rinnovamento. Il sodalizio del No mette insieme tutta la partitocrazia e personaggi un tempo più che avversari. Da Berlusconi a Zagrebelsky, Travaglio e Salvini, Grillo e Alemanno, Dario Fo e Previti.
 
Una cosa che obbiettivamente dimostra che attualmente l’unica forza anti-establishment è proprio il PD e tutti coloro che spingono per la riforma costituzionale a partire dal presidente emerito Napolitano che n’è stato l’ispiratore.
Il tema vero è quindi la riforma costituzionale. Rendere il paese per il suo futuro (che in ogni caso andrà ben oltre la figura di Renzi), più moderno. In estrema sintesi si puo’ dire che, leggendo la riforma, con il Si si avrebbe:
 
Che la fiducia al Governo sarà data solo dalla Camera e dunque sarà più semplice governare. Se vincesse il No, resterebbe tutto come adesso e quindi ogni riforma sarebbe faticosa da realizzarsi, continuerebbe l’instabilità politica e alla fine la responsabilità di chi governa sarebbe annacquata dai mille “inciuci” dei giochi di palazzo ed ogni legge si sfinirebbe nel solito chiacchiericcio italiano che tanto bene fa alla stampa ma molto meno ai cittadini. Ed inoltre, con il Si si eviterebbe la doppia fiducia che con due camere a diverse composizioni non dà certezza sui numeri per governare. Insomma, una cosa che tutti volevano (a parole) fino a ieri e che ora è sconfessata da quelli del NO.
Che il numero dei parlamentari passerebbe da 945 a 630, più 100 senatori senza indennità in rappresentanza dei territori. Se vince il No resteranno gli scandalosi costi della politica verso cui anche gli attuali oppositori al referendum si erano scagliati.
Che per fare una legge non ci sarà bisogno del solito estenuante ping pong tra Camera e Senato, ma ci saranno tempi e procedure più snelle.
 
Che i consiglieri regionali non potranno guadagnare più di un sindaco e saranno cancellati i rimborsi ai gruppi regionali, con un ulteriore taglio ai costi della politica.
Che le Regioni dovranno smettere di fare promozioni turistiche all’estero o legiferare in modo diverso l’una dall’altra sui trasporti o sulle regole ambientali, ma ci saranno regole uguali per tutte, più semplici per i cittadini, una misura che elimina molti rischi di corruzione e malapolitica di cui le Regioni, a detta di tutti, hanno dato ampi esempi. Basta ricordare i tanti scaldali degli ultimi anni. Quelli che oggi dicono No, in fondo mantengono queste perniciose abitudini che sono forse tra le principali cause del disamore degli italiani verso la politica e che hanno alimentato diverse e pericolose forme di populismo.
Che si eliminerebbero enti inutili come il CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) - previsto in Costituzione - e si cancellerebbero definitivamente i politici dalle province, con una riduzione di 2.500 poltrone. Un ulteriore taglio ai costi della politica con la definitiva fine delle Provincie stesse.
 
Che, finalmente, sarà più basso il quorum per i referendum e si potrebbero fare referendum propositivi (oggi non ammessi). Si tratta di una cosa che ha spinto i radicali, in primis Emma Bonino a schierarsi convintamente per il SI.
Infine, demagogicamente si sono levate le solite voci della sinistra più estrema ma anche a destra o dai grillini che sostengono che gli italiani "non mangiano pane e Costituzione". Questa banalizzazione è verissima, se non fosse che la riforma costituzionale rendendo molto più rapidi i poteri legislativi ed esecutivi, consente, come detto, di fare leggi in ogni campo con una tempistica assolutamente migliore e questo è un vantaggio per tutti gli italiani.
E’ certamente legittimo il No, ma non si comprende quale sia la strada del cambiamento, bocciando una riforma che ha questi contenuti. Peraltro, i sondaggi oggi danno il No in testa e francamente spesso i discorsi di quelli del No appaiono suscitatori di paure che non hanno un reale motivo. Si usano espressioni forti e sbrigative, si sente parlare di stravolgimento della Costituzione, una drammatizzazione eccessiva ed immotivata. In primo luogo come ha fatto notare finanche Benigni (venendo colpito dagli strali di Dario Fo), tutti i principi fondamentali della Carta restano intatti, in secondo luogo il bilanciamento dei poteri resta integro. Con la Corte Costituzionale e il Presidente delle Repubblica che mantengono tutte le loro prerogative e potranno ben svolgere, ove fosse necessario, tutte le attività di interdizione e finanche di abrogazione nei confronti di qualsivoglia legge fosse incostituzionale o mettesse a rischio i valori e la stessa unità nazionale.
In realtà, quello del variegato mondo del No sembra più interessato a frenare il cambiamento che a salvaguardare la Costituzione (che come detto non è soggetta a nessun rischio). Questo forse perché non si vuole mettere in difficoltà un sistema, che al di là dei partiti e dei parlamenti, si è mosso in una instabilità politica perenne che ha favorito pratiche di corruzione per gli interessi non della collettività, ma di corporazioni, lobby e caste che tra le pieghe e le opacità di questi 60 anni hanno costruito le loro fortune sulle spalle dei cittadini. Creando un paese carico di diseguaglianze e punendo spesso il merito a vantaggio di clientele politiche e affaristiche
Questa riforma, non aiuta nessun partito in particolare, anzi potrebbe premiare indifferentemente, la destra come la sinistra o gli stessi di M5S, costringendoli pero’ a governare nella trasparenza e sotto il vigile controllo di un’informazione (speriamo più obbiettiva e meno sensazionalistica) e con il rischio, che qualora non si operasse bene, di trovarsi, al prossimo turno elettorale, relegati all’opposizione. Come dire basta agli inciuci con cui anche infime minoranze hanno potuto condizionare e segnare il destino del paese come la recente storia ci insegna con le cadute di governi a guida Berlusconi o Prodi.
Anche per questo il destino di Renzi non ha tutta questa importanza e il prospettarlo come tema del referendum è fuorviante e falso. Il vero tema è e resta il cambiamento e il futuro del nostro paese. E su questo tema occorrerebbe da parte di tutti avere più visione e più razionalità.

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lunedì 4 luglio 2016
 
Fonte: Susanna Galli <Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.>