Categoria: Rivista Online - Edizione - Gennaio 2016

Da diversi anni autorevoli voci della società civile mettono in guardia contro i rischi di un sistema finanziario basato “sull’economia di carta”, un sistema che incamera i risparmi della gente, frutto di lavoro, sacrifici e rinunce e nello stesso tempo detta regole alle Banche Centrali ed ai Governi. Da anni le “sirene” delle banche non consigliano più di investire in piccole attività commerciali o produttive, modalità operative superate, il nuovo è la rendita certa, i soldi arrivano stando a sedere a casa propria.

La filosofia che sottende la cultura latifondista è sconosciuta alle nuove generazioni, stante l’assenza nel sistema scolastico dell’insegnamento delle nozioni basilari del latifondismo agrario, ben conosciuto dai nostri nonni.

Con il termine latifondo immaginiamo una proprietà terriera di grandi dimensioni appartenente ad una famiglia molto potente per quel territorio. Il termine latifondo deve essere ripreso in esame per la complessità dei meccanismi economici e dei rapporti sociali che ha rappresentato e rappresenta nella storia. Nell’era della globalizzazione il termine latifondo deve essere letto non tanto come una misura agraria o una semplice tipologia aziendale, quanto come un insieme di condizioni economiche, sociali, politiche e giuridiche.

La forza del latifondismo agrario risiede nella sua grande capacità di controllo della forza lavoro, sostenuta essenzialmente da due elementi: l’autocrazia dei grandi proprietari e lo squilibrio permanente del mercato del lavoro, nel quale l’offerta è di molto inferiore alla domanda proveniente da masse di disoccupati che arrivano da centri anche molto distanti. Oggi è stata riprodotta la stessa situazione, un occidente dove il lavoro precario la fa da padrone e grandi masse di emigrazione pronte a tutto pur di scappare dai loro Paesi. Il potere latifondista, come allora, può contare sul potere repressivo della burocrazia. 

L’altro pilastro sui cui si fonda il latifondismo finanziario è rappresentato dalle “Politiche di Governance”. Il grande successo ottenuto da queste politiche in tempi brevi è da addebitare alla incapacità della politica di governare i processi socio-economici. Il focus non è più la capacità di direzione ma la governabilità a qualsiasi costo.

Alla fine di questo processo i principi del mercato e l’auto-organizzazione orizzontale hanno avuto il sopravvento sul modello precedente basato sul controllo politico gerarchico. Le nuove modalità operative sono divenute la colonna portante dell’ideologia politica del neo-liberismo, attraverso la deregolamentazione e la privatizzazione come mezzi per stimolare la crescita e per incrementare l’efficienza economica di mercato.

Questo modo di operare ha fatto passare in secondo piano le palesi contraddizioni esistenti tra i principi di mercato e la democrazia, la strategia delle politiche basate sulla Governance si è limitata alla analisi delle forme di cooperazione orizzontali finalizzate ad una nuova autoregolamentazione sociale e alla produzione di politiche settoriali.

Anche ai nostri giorni, come è avvenuto spesso nella storia, alla maggior parte dei cittadini non interessa molto la difesa della democrazia e il conseguente controllo delle scelte fatte dalla classe dirigente, convinti come sono che il sistema cammina lo stesso, fino al paradosso che dal punto di vista bancario è sufficiente fidarsi del direttore della filiale. Ma questo si poteva fare una volta quando i partiti avevano le sezioni in ogni comune o quartiere e la banca era impegnata a finanziare lo sviluppo del territorio, ma oggi compaiono e scompaiono rappresentanti del popolo nominati, come se fossero immagini e non persone, e il direttore di filiale ha degli obiettivi finanziari da raggiungere, che non sono più quelli di contribuire a sviluppare il territorio, del quale vuol gestire i risparmi, e non ha più l’autonomia nemmeno di decidere se affidare per alcune migliaia di euro un cliente.

Dopo gli ultimi scandali il popolo ha preso coscienza che anche nelle società democratiche a suffragio universale e a partecipazione popolare, poche persone possono avere un potere sproporzionato rispetto al resto della popolazione, in svariati modi e con diversi effetti. La concentrazione della ricchezza, fondamento del potere politico delle oligarchie e fonte costante di tensioni sociali, sta alla base della coesione politica tra gli oligarchi. L’oligarchia è un processo politico nel quale gli oligarchi, da soli o di concerto, usano le loro ricchezze come risorsa di potere per contrastare le minacce ai propri averi e alle proprie entrate, anche modificando normative al momento opportuno.

Nella gestione di alcune banche si è verificato quanto affermato dall’ex ministro delle finanze italiano Giulio Tremonti nel suo “Manifesto per l'Italia”, dove illustra molto bene il ruolo storico del "latifondo finanziario" che tende ad applicare alla società moderna lo schema del feudalesimo, “negli ultimi anni hanno titolo per parlare solo quelli che i soldi li creano, li moltiplicano, li inventano, li concedono o li ritirano: finanzieri, tecnici, banchieri, i maghi del denaro? Senza essere eletti dal popolo, ma tra di loro cooptati od illuminati, benevoli o famelici, questi, dopo aver preso il controllo prima dei risparmi e poi delle tasse e della spesa pubblica, oggi dal popolo vogliono ancora di più. Vogliono che il popolo rinunci di fatto a fare sentire la sua voce, non rinunciando al diritto di voto, quanto che lo esprima nella forma muta dell'obbedienza a "diktat" che vengono da sopra e da fuori. Nel palazzo c'è troppa gente secondo cui economia e democrazia possono essere variabili indipendenti”.

Ma queste culture non avvezze a percorrere i sentieri della democrazia e della partecipazione, come la storia ha dimostrato più volte, con i loro comportamenti stanno facendo prendere coscienza al popolo che i propri risparmi debbono tornare ad essere investiti in attività economico-produttive, che creano posti di lavoro, e non messi nelle mani di soggetti poco affidabili. Anche se i media cercano di colpevolizzare i direttori e i funzionari speriamo che nel medio tempo non emerga quello che è avvenuto in una banca del centro Italia, attualmente nell’occhio del ciclone, dove su circa mille duecentocinquanta dipendenti circa mille erano azionisti e che un quarto di essi aveva sottoscritto obbligazioni come l’ultimo degli ignari clienti.

Il cambiamento di un’epoca richiede stravolgimenti sociali ed economici, questo tipo di globalizzazione guidata dalla finanza mondiale passerà alla storia come una delle calamità più perniciose che l’umanità abbia mai dovuto affrontare. Una visione globale fondata sulla finanza di carta, una finanza presuntuosa che ha ritenuto di poter fare a meno di prendere in considerazione culture, tradizioni, abitudini, capacità operative, modelli produttivi, tipologia delle risorse naturali e ambientali. Comportamenti di onnipotenza che rischiano di declassare per anni l’importanza sociale ed economica di progetti che la “finanza vera” può aiutare a crescere e consolidarsi.

Le persone si stanno riprendendo la delega riguardo a cosa fare dei propri risparmi, convinte che in un momento di crisi occupazionale come quella in atto non ci si può più fermare alla rendita, ma i risparmi debbono concorrere a favorire uno sviluppo più attento alla qualità della vita e alla conservazione dei beni della terra. Una economia locale protesa a sostenere, le famiglie, le micro imprese e le associazioni non profit che operano nei settori ad alto contenuto etico nei campi del sociale, della solidarietà, dell’ecologia e dell’ambiente.

Famiglie sempre più protese ad indirizzare i risparmi al di fuori di un sistema finanziario che erode il potere decisionale dei cittadini e svuota il fondamento della democrazia, a favore di progetti tesi a ripensare l’azione dell’uomo in senso etico quale comportamento indispensabile per la costruzione di un mondo più equo e giusto, per contribuire a costruire, con strumenti fondati sulla sussidiarietà, le forme di solidarietà necessarie a reinserire nel circuito sociale i soggetti che non possono ricorrere al credito bancario.

Corrado Tocci