Categoria: Rivista Online - Edizione - Gennaio 2016
Una sintetica presentazione dell´ebook "il cristianesimo cattolico scritto e parlato in Italia"
Locuzioni cristiane correnti in contesti profani. Appena uscito in Amazon, (€0,99), basato, essenzialmeente, sullo spooglio di quotidiani e rotocalchi italiani.
Innocenzo Mazzini
a Gabriele, grazie!
SOMMARIO
PREMESSA
ABBREVIAZIONI E SIGLE
INTRODUZIONE
1.Fonti
2.Veicoli
3.Epoche della laicizzazione delle locuzioni cristiane
4.Caratteristiche dell’uso corrente laico
5.I giornali e i modi di dire cristiani
6.Parole e locuzioni cristiane cattoliche nelle lingue occidentali
LOCUZIONI ITALIANE
Accolito
Agnello sacrificale
Anatema
Angelo/Angelo custode
Antifona
Apocalisse/Apocalittico
Apostolo apostolato apostolico
Babele /Babilonia
Battesimo/battezzare
Calvario
Canossa
Capitolo
Capro espiatorio
Cenere
Cero
Certosino
Cesare
Cireneo
Colosso (dai piedi) d’argilla/gigante
Convento
Cristo
Croce
Crocifiggere
Davide
Diavolo
Diluvio
Epulone
Fariseo/Farisaico
Figliol prodigo
Fossa dei leoni
Geremia
Giaculatoria
Giuda
Gloria
Guancia
Inferno/Infernale
Latte e miele
Litania
Madonna
Manna
Matusalemme / Matusa
Neofita/o
Osanna /Osannare
Pagliuzza /trave
Paradiso
Pecorella
Perle
Pietra
Pilato/Pilatesco/Pilatescamente
Pulpito
Quaresima
Ramoscello d’olivo
Sacrestia
Sale
Samaritano
Santo/i
Sepolcro imbiancato
Spada
Stinco
Tempio
Vacche grasse/magre
Vangelo
Vesti
Vitello grasso
Zizzania
LOCUZIONI LATINE
Amen ‘Così sia’
Credo quia absurdum/‘Credo perché è assurdo’
Crucifige(eum) / ‘Crocifiggi(lo)’
Deo gratias/‘Grazie a Dio/ al Cielo’
De profundis/‘Dal profondo’
Dies irae/ ‘Il giorno dell’ira’
Ecce homo/’Ecco l’uomo’
Felix culpa/ ‘Colpa fortunata’
Fiat lux/ ‘La luce sia fatta’
Habemus papam!/‘Abbiamo il papa’
Libera nos (Domine)/‘Liberaci (o Signore)’
Mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa/‘Mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa’
Memento mori/‘Ricorda la morte’
Omnia munda mundis/‘Ogni cosa è pura per i puri’
Ora pro nobis/‘Prega per noi’
Refugium peccatorum/‘Rifugio dei peccatori’
Requiesca(n)t (in pace)/‘Riposi(no) (in pace)’
(In/per) saecula saeculorum/‘(Nei, per i) secoli dei secoli’
Sancta sanctorum
(Sic) transit gloria (mundi)/‘(Così) finisce la gloria (del mondo)’
Urbi et orbi/‘A Roma e al mondo’
Vade retro (satana)!/‘Va indietro (Satana)!
Via crucis/‘Via della croce’
Vox clamantis in deserto ‘Voce di chi grida nel deserto’
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
PREMESSA
Ritengo opportuno definire preliminarmente il senso del titolo, il pubblico, gli obiettivi e i limiti del presente volume
1. Titolo
Chi prende in mano questo libro può farsi tre domande relative al titolo.
Perché “cristianesimo cattolico”? Perché il cattolicesimo ha esercitato sulla lingua italiana un influsso più determinante e più profondo delle altre confessioni cristiane, soprattutto nei secoli scorsi; si pensi alle locuzioni connesse alla storia della chiesa e alla liturgia.
Perché “scritto e parlato”? Le diverse espressioni sono tratte dai giornali dei nostri giorni, e sono scritte. Il giornalista, in funzione della esigenza primaria di informare, attinge, per lo più, dalla lingua parlata e la riflette.
Perché “in Italia”? I giornali compulsati e utilizzati sono editi e diffusi soprattutto in Italia.
2. Pubblico
Il presente volume si rivolge in primo luogo a tutti coloro che aspirano ad un uso consapevole dell’italiano ed insieme hanno a cuore la conoscenza e la conservazione dell’immenso patrimonio culturale, che l’Occidente in generale e l’Italia in particolare hanno costruito e accumulato nei secoli, anche per influsso del cristianesimo.
2. Obiettivi
Gli obiettivi di questo libro sono essenzialmente tre:
contribuire ad un uso consapevole della lingua italiana, relativamente ai modi di dire originati dal cristianesimo in generale e cattolico in particolare;
mostrare la rifondazione-ampliamento-distorsione semantica, che le diverse locuzioni subiscono nel passaggio dal linguaggio tecnico cristiano-cattolico all’uso laico corrente;
fornire attraverso l’evoluzione-trasformazione semantica delle varie locuzioni una sorta di cartina di tornasole delle trasformazioni religiose, culturali e sociali dell’Occidente e, in particolare, dell’Italia.
4. Limiti
I limiti della presente ricerca sono di ordine sia quantitativo, sia qualitativo.
Non tutti i possibili modi di dire originati dal cristianesimo cattolico in qualunque epoca storica o letteraria sono stati oggetto di attenzione, ma solo quelli di uso più comune e corrente, in particolare, o forse meglio dire soprattutto, nei seguenti quotidiani o rotocalchi, degli ultimi 4-5 anni: Avvenire, Corriere della Sera, Famiglia Cristiana, il Fatto Quotidiano, IL Foglio, il Giornale, IL Giorno, il manifesto, Il Messaggero, Il Sole 24 Ore, Italia Oggi, la Repubblica, La Stampa, l’Espresso, Libero, l’Unità, Paese Sera, Quotidiano Nazionale. Tutti gli esempi in appendice ad ogni lemma sono tratti dagli archivi on line dei singoli quotidiani o rotocalchi.
Non sono considerate quelle locuzioni meramente letterarie mai divenute correnti, creazioni senza séguito di singoli scrittori o comunque locali.
La descrizione della “cosa” alla base del modo di dire (personaggio, episodio, struttura, affermazione, oggettistica, ecc.) non si può definire completa; è solo funzionale ad evidenziare il cammino culturale che può esserci stato tra l’uso originario religioso e quello presente laico, oggetto, appunto, del presente lavoro.
Tra le locuzioni latine sono state scelte, senza pretesa di completezza, solo quelle correnti a livello giornalistico e, contestualmente, ove usuali, anche le corrispondenti italiane, per es. Deo gratias e grazie a Dio.
Il richiamo al primo uso extra religioso di parole o espressioni cristiane, è sommario e orientativo, con riferimento al secolo e/o al nome dello scrittore di maggiore rilievo.
Le immagini che, da un lato, confermano l’origine e la diffusione dei vari modi di dire e, dall’altro, ne sono anche il veicolo, rappresentano una selezione minima di una quantità immensa. Con esse si intende dare solo una pallida idea della grandissima varietà di stili e livelli artistici in rapporto al pubblico ed alle diverse epoche storiche.
ABBREVIAZIONI E SIGLE
Avv.: Avvenire (www.avvenire.it)
C.d.S.: Corriere della Sera (www.corriere.it)
Daniele = Libro del profeta Daniele
El P.= El Pais (elpais.com)
F.C.: Famiglia Cristiana (www.famigliacristiana.it)
fr.: francese
Giovanni: Vangelo secondo Giovanni
I.O.: Italia Oggi (www.italiaoggi.it)
IL F.: Il Foglio (www.ilfoglio.it)
il F.Q.: Il fatto quotidiano (www.ilfattoquotidiano.it)
il G.: Il Giornale (www.ilgiorrnale.it)
Il Gior.: Il Giorno (www.ilgiorno.it)
il m.: il manifesto (ilmanifesto.info)
Il Mess.: Il Messaggero (www.ilmessaggero.it)
Il S.24 O.: Il Sole 24 Ore (www.ilsole24ore.it)
ingl.: inglese
l’E: L’espresso (espresso repubblica.it)
l’U.: l’Unità (www.unita.it)
la R.: la Repubblica (www.repubblica.it)
La S.: La Stampa (www.lastampa.it)
Le F.: Le figaro (www.lefigaro.it)
Lett.: letterale/letteralmente
Lib.: Libero (www.liberoquotidiano.it)
Luca: Vangelo secondo Luca
Matteo: Vangelo secondo Matteo
N.T.: Nuovo Testamento
Q.N.: Quotidiano Nazionale (www.quotidiano.net)
sec.: secolo/secoli
sp.: spagnolo
Süd. Z.: Süddeutsche Zeitung (www.sueddeutsche.de)
ted.: tedesco
The Ti.: The Times (www.thetimes.co.uk)
V.T.: Vecchio Testamento
vd.: vedi
INTRODUZIONE
Onde rendere più facile e chiara, per il lettore, la sintesi dell’evoluzione delle lingue occidentali, italiana in particolare, in merito ai modi di dire di origine cristiano-cattolica, ritengo opportuno trattare, con riferimento alle varie locuzioni riportate nella parte lemmatica, i seguenti punti: 1. fonti primarie delle varie locuzioni; 2. veicoli che hanno portato e portano alla conoscenza, imprimono nella memoria e sensibilità del parlante il ricordo di fatti, personaggi, strutture, organismi e organizzazioni cristiani su cui sono costruite le varie locuzioni. 3. epoche di ingresso nell’uso non religioso dei vari modi di dire; 4. caratteristiche dell’uso corrente laico; 5. i giornali e i modi di dire cristiani; 6. parole e locuzioni cristiano-cattoliche nelle lingue occidentali.
1.Fonti
Le fonti di “cose” e persone su cui sono state costruite, nel corso dei secoli, le varie locuzioni considerate nella parte lemmatica sono, essenzialmente, la Bibbia, la liturgia e la storia della chiesa cristiana cattolica.
1.1. Bibbia
La Bibbia, Vecchio e Nuovo Testamento, costituisce, indubbiamente, la fonte principale, a causa della sua centralità, attraverso i secoli, nella predicazione e nella liturgia. Sono riconducibili al V.T. i modi di dire costruiti su: Babele, capro espiatorio, diluvio, fiat lux, latte e miele, ramoscello, vacche grasse e magre, manna, sancta sanctorum, vitello d’oro, colosso, fossa dei leoni, Geremia, Davide.
Di gran lunga più numerose sono le locuzioni che hanno le radici nel N.T., si pensi a quelle costruite su: agnello, apocalisse, apostolo, battesimo, Cesare, Cireneo, Cristo, Croce, crocifiggere, crucifige, ecce homo, epulone, fariseo, figliol prodigo, Giuda, guancia, omnia munda mundis, pagliuzza, pecorella, perle, pietra, Pilato, sale, samaritano,
sepolcro, spada, tempio, vade retro Satana, vesti, vitello grasso, vox clamantis in deserto, zizzania.
1.2. Liturgia
Hanno la loro origine dalla liturgia tutte quelle locuzioni correlabili ad antifona, amen, cenere, cero, de profundis, Deo gratias, giaculatoria, gloria, illo tempore, libera nos, litania, mea culpa, ora pro nobis,osanna, per saecula saeculorum, refugium peccatorum, quaresima, requiesca(n)t in pace.
1.3. Storia della chiesa
Non piccola traccia ha finito per lasciare nelle locuzioni di ispirazione cristiana la storia della chiesa cattolica intesa in senso ampio (speculazioni teologiche, strutture, edifici di culto, organizzazione gerarchica, ordini religiosi, e altro): accolito, anatema, angelo custode, Canossa, capitolo, certosino, convento, credo quia absurdum, felix culpa, habemus papam, memento mori, neofita, pulpito, sacrestia, santo, sic transit gloria mundi, urbi et orbi.
Grande parte delle forme e dei moduli sopra elencati, alla base di tante locuzioni cristiano-cattoliche, è ebraica, o greca, o comunque traduzione pedissequa dall’ebraico o dal greco in latino. Per comprendere le ragioni di questa caratteristica, si deve tenere conto del fatto che singole forme e moduli sono arrivati fino a noi attraverso le primitive traduzioni bibliche dall’ebraico o dal greco in latino. Queste vengono eseguite nei primi secoli del cristianesimo, prima molteplici e occasionali, legate alle singole comunità cristiane poi, in forma quasi ufficiale, da Girolamo (sec. IV-V). Al di là delle possibili differenze, tutte le traduzioni hanno un elemento in comune: l’estrema letteralità, persino nell’ordine delle parole. Questa è dovuta, da un lato al sommo rispetto per la parola biblica ritenuta rivelata, e dall’altro ad una notevole familiarità dei cristiani con una terminologia gerarchica, organizzativa, liturgica comune a tutte le comunità sia greche sia latine, già prima delle traduzioni si pensi ad amen, accolito, osanna,
ecc., termini ed espressioni che ormai non aveva più senso tradurre e così sono arrivati fino a noi.
2.Veicoli
Le tre principali fonti da cui si originano le varie locuzioni, non necessariamente e sempre ne hanno garantito la sopravvivenza e la vitalità fino ai nostri giorni, né tanto meno ne spiegano l’evoluzione semantica. Il percorso fino ai nostri giorni si realizza grazie ad una serie di fattori, che potremmo chiamare veicoli, i quali agiscono in misura, modi e tempi diversi, sulla sensibilità e memoria del parlante o scrivente. Mi sembra che possono essere identificati nei seguenti: predicazione, catechismo, liturgia, letteratura religiosa, arti figurative e plastiche, musica religiosa, letteratura profana, cinematografia, pubblicità. I veicoli appena elencati non sono stati sempre gli stessi nel corso degli anni o meglio dei secoli, né hanno avuto sempre lo stesso impatto; vediamone in dettaglio le caratteristiche e l’evoluzione nel tempo.
2.1. Predicazione cristiana e cattolica
La assoluta centralità della predicazione nella trasmissione del messaggio cristiano e la sua primaria importanza tra i veicoli appaiono evidenti se solo se ne considera, rapidamente, la storia e l’evoluzione nei secoli, come alcuni grandi nomi che l’hanno rappresentata.
2.1.1.Sintesi storica
La predicazione orale costituisce lo strumento privilegiato per la diffusione e conservazione della dottrina e della fede cristiane, già a partire da Cristo e dagli apostoli. Nei secoli sono stati oggetti privilegiati della predicazione i seguenti temi: la Sacra Scrittura, la liturgia, le decisioni della S. Sede, dei concilî e dei sinodi diocesani o provinciali, la storia della chiesa, le vite di Cristo, Madonna e santi. Al di là della costante dei temi, nei secoli cambiano l’insistenza su alcuni di essi e le modalità di presentazione. Nei primi secoli la predicazione è essenzialmente omiletica, lettura commentata, passo dopo passo, delle scritture, in forma di conversazione. Di qui il termine greco omelia, che significa conversazione.
Dai secoli postcostantiniani fino al concilio Vaticano II (1962-65), le tecniche e gli strumenti della retorica acquistano un peso rilevante nella predicazione, anche a causa del peso crescente delle classi colte e ricche nella gerarchia e tra i fedeli. A fronte tuttavia di una predicazione spettacolo brillante, che raggiunge il suo massimo nel Seicento, non mancano, in ogni epoca, inviti e anche pratici esempi di predicazione popolare, adatta alla lingua degli umili, anche in dialetto.
Nel tempo si moltiplicano i generi e gli obiettivi della predicazione: omelia, predicazione domenicale davanti a tutti i fedeli; panegirico, celebrazione di un personaggio esemplare, un santo; meditazione, predicazione riservata a pochi; fervorino, breve discorso prima della comunione; quaresimali e avventi, prediche tipiche del periodo dell’avvento e della quaresima incentrate sui temi del periodo liturgico; esercizi spirituali, predicazione chiusa, riservata a gruppi particolari su tematiche relative alla vita interiore; missioni, cicli di predicazioni rivolte alle masse popolari e contadine.
Se all’interno della chiesa cattolica la predicazione, nei suoi diversi generi, ha sempre rivestito una grande importanza, non minore centralità essa ha avuto all’interno delle chiese anglicana ed evangeliche. Presso queste ultime la predicazione è stata essenzialmente basata sulla scrittura, non tanto e non solo come spiegazione della stessa, quanto come introduzione e invito alla lettura personale. L’esortazione alla lettura del testo biblico è pressante nel luteranesimo, ma anche nelle varie confessioni che proliferano in ambito evangelico: puritanesimo, calvinismo, pietismo, evangelicalismo, revitalismo, ecc.
2.1.2. I grandi predicatori
I grandi predicatori del passato sono stati molti: mi limito a riportare alcuni nomi tra i più famosi, anche evangelici. Sec. IV-VII: Gregorio di Nazianzio, Ambrogio, Agostino di Ippona, Giovanni Crisostomo, Gregorio Magno; sec. XII-XV: Domenico Guzmàn, Antonio da Padova, Alberto Magno, Domenico Cavalca, Jean Hus, Johan de Gerson, Girolamo Savonarola; sec. XVI: Lutero, Huldrych Zwingli, Giovanni. Calvino, Carlo
Borromeo, Francesco Panigarola, Filippo Neri; sec. XVII: Jaques Benigne Bossuet, Paolo Segneri; sec. XVIII: Alfonso Maria De Liguori, Leonardo di Porto Maurizio; sec. XIX Charles Spurgeon, Dwigt L. Moody, Luigi Marchelli, Pio B. Lanteri.
Nel XX secolo la grande predicazione entra in crisi, per varie ragioni, ma soprattutto perché entra in crisi il rapporto della chiesa e della sua dottrina con le masse popolari. A fronte aumentano gli sforzi, in particolare della chiesa cattolica, per una predicazione moderata nei toni, ma costante e domenicale, incentrata su testi biblici che vengono regolarmente proposti nel lezionario, a sua volta concordato anche con varie chiese evangeliche.
Accanto ai singoli predicatori che riescono ad attirare folle devote e insieme esaltate, come i grandi divi di oggi, nel passato sono sorti ed hanno operato, con il fine precipuo della predicazione, vari ordini religiosi: nel sec. XIII i Domenicani, nei sec. XIV e XV i Frati minori, nei sec. XVI- XIX i Gesuiti e i Redentoristi.
2.2. Catechismo
Le parole catechismo, catechista e catecumeno, sono in origine forme greche, appartengono alla stessa area semantica e lessicale, esprimono l’idea di istruzione orale. Catechismo è l’azione dell’istruire, catechista colui che istruisce e catecumeno colui che viene istruito. Catechismo oggi è anche il libro che contiene le conoscenze da trasmettere, strutturato in domande e risposte, destinato ad un pubblico semplice, comunque alle prime armi. Questo significato si aggiunge al termine solo nel sec. XIV. Il catechismo più diffuso e celebre è stato quello varato dal Concilio di Trento Catechismus ex decreto Concilii tridentini ad parochos (1566), noto anche come catechismo romano. Ad imitazione del catechismo Tridentino, tanti altri diocesani o nazionali. Il primo catechismo evangelico è quello stilato dallo stesso Lutero, concepito espressamente per bambini e intitolato Kleiner Katechismus.
Ultimo grande catechismo, non tanto destinato a ragazzi e bambini, ma un vero e proprio manuale per i catechisti è il catechismo della chiesa cattolica (CCC), ufficialmente approvato dal papa Giovanni Paolo II negli anni novanta. Di questo è stata pubblicata una sintesi nel 2005.
Questo strumento su cui e da cui sono nati ed elaborati tanti piccoli manuali destinati a ragazzi, si articola in quattro grandi sezioni: la fede o credo, la liturgia e i sacramenti, Cristo e la sua vita, le preghiere del cristiano.
Nella attuale situazione dell’insegnamento religioso, e della crisi religiosa che investe tutto l’Occidente, il catechismo rappresenta, per molte persone, la prima e l’ultima occasione per apprendere qualcosa del cristianesimo ed anche per poter percepire il senso primario e secondario di parte dei modi di dire legati al cristianesimo in generale e cattolico in particolare.
2.2. Liturgia
Tutta una serie di espressioni anche latine, veicolate attraverso le celebrazioni liturgiche, si imprime nella memoria delle masse cristiane, anche quelle incolte, grazie alla grandiosità delle cerimonie e alla loro capacità di coinvolgimento emotivo e questo fino almeno agli anni 50 del secolo scorso: si pensi alle processioni del corpus domini, del santo patrono, alle rogazioni, alle messe solenni, ai riti funebri celebrati con messe da requiem. Ogni cristiano seppure analfabeta conosceva e ripeteva formule come ora pro nobis, libera nos a malo, Deo gratias, mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa, requiem aeternam, ecc. I festeggiamenti per l’elezione del nuovo papa, le benedizioni papali rendevano e rendono ancora facili e comprensibili le espressioni latine: habemus papam; benedictio urbi et orbi.
2.3. Letteratura religiosa
Esiste ed è sempre esistita una vastissima letteratura di edificazione (tipo la medievale Imitazione di Cristo), di preghiera (raccolte di preghiere varie un po’ per tutte le occasioni), scritturistica (edizioni commentate o meno,
di lusso o tascabili del Vecchio e del Nuovo Testamento), liturgica (messalini con letture e preghiere feriali e domenicali), ecc. Tutta questa letteratura rappresenta un veicolo rilevante di concetti, fatti e personaggi su cui si costruiscono e da cui derivano molte locuzioni cristiane, laicizzate o meno.
Questo veicolo tuttavia raggiunge solo i praticanti; è improbabile anche se non impossibile, che un non credente prenda in mano questa letteratura, se non spinto da curiosità sociologica, o linguistica.
Si può considerare letteratura religiosa anche quella agiografica cioè, in termini semplici, le vite dei santi, le passiones e gli atti dei martiri, le raccolte dei miracoli, ecc. L’agiografia, come genere letterario, è diffusa fin dai primi secoli della storia del cristianesimo. Fino al XIX secolo la vita del santo era concepita, non tanto come documento storico, quanto e soprattutto come mezzo di acculturazione e di edificazione delle masse popolari, e come “propaganda” per determinati santuari. L’agiografia del XX secolo ha preso un indirizzo più storicistico e meno edificante.
Tra le vite più famose nei secoli scorsi, si possono menzionare quelle di santi di particolare successo nella venerazione popolare come Domenico di Guzmán †1221, Francesco di Assisi †1226, Antonio da Padova †1231, Teresa D’Avila †1582, Giovanni Bosco †1862, e altri.
Di alcuni santi come il Curato di Ars †1859, Gabriele dell’Addolorata †1862, per non parlare di santi recentissimi come Padre Pio †1968, Giovanni Paolo II †2005 e tanti altri vengono scritte decine di vite, anche mirate per un pubblico particolare che, di volta in volta, può essere rappresentato da ragazzi, adulti, religiosi, laici e altri.
Questa letteratura nella sua massiccia presenza e profonda penetrazione diastratica e diatopica ha rappresentato, soprattutto nel passato, un veicolo importante di conoscenze bibliche e liturgiche e dunque di termini e locuzioni cristiane e cattoliche.
2.5. Pittura e scultura religiose
Come ben si sa le molte chiese cattoliche, dalle grandi cattedrali romaniche (si potrebbe dire già dalle catacombe) fino ai giorni nostri, posseggono un patrimonio artistico immenso, forse senza confronto nel mondo: mosaici, basso e alto rilievi, statue, vetrate, portali e soprattutto affreschi, per non parlare di pitture su tela. Il tutto organizzato in sequenze, o anche in singole scene, sapientemente finalizzato, ha costituito, in particolare nel passato, una vera e propria sacra scrittura da leggere per immagini, un vero e proprio catechismo non solo per i ceti colti, ma anche e soprattutto per gli analfabeti.
Esso ha permesso di fissare nella memoria e direi anche nel profondo inconscio, episodi e personaggi biblici, vite di santi, concezioni e dogmi, e con essi di creare e insieme percepire locuzioni di ispirazione cristiana. Tanto per farsi una idea minima, si pensi al ciclo giottesco della vita di san Francesco nella basilica superiore di san Francesco in Assisi, come alle vite di Cristo e della Vergine nella cappella degli Scrovegni di Padova opera di Giotto; ai dannati e alla predicazione dell’anticristo di Luca Signorelli nel duomo di Orvieto; alle storie bibliche nella cappella Sistina di Michelangelo; ai mosaici absidali di S. Apollinare in classe con le scene della trasfigurazione; ai bassorilievi raffiguranti la passione di Cristo nel duomo di Parma, opera di Antelami o quelli raffiguranti storie della Genesi per opera di Jacopo della Quercia in San Petronio di Bologna; alle vetrate della cattedrale di Reims opera di Marc Chagall; alla via crucis di Henri Matisse realizzata su ceramica bianca nella cappella di santa Maria del Rosario a Vence, in Provenza, e l’elenco può continuare, quasi infinito.
Non vanno dimenticate le illustrazioni nei libretti di preghiere e devozione (per es. i messalini), nei così detti santini (distribuiti in occasione delle varie commemorazioni o celebrazioni liturgiche) nei foglietti domenicali e negli ex voto: insomma tutta una produzione di livello popolare, profondamente penetrata tra le masse, di cui per altro riflette (rifletteva) il tipo di religiosità.
Accanto ai grandi affreschi, dipinti e altro conservati nelle chiese, con la creazione dei musei tra la seconda metà del Settecento e la prima
dell’Ottocento, fino ai nostri giorni, si apre in particolare per i ceti più colti, un altro veicolo di informazione e conoscenza della religione cristiana attraverso la via dell’arte: grandi opere appartenenti a collezioni private o enti pubblici finiscono nei musei, e da qui si imprimono nell’animo e nel pensiero, entrano nel linguaggio dei visitatori. Con queste opere d’arte, visibili nei musei, non più e non necessariamente condizionate da canoni artistici coerenti con la tradizione della pietà cristiano-cattolica, il visitatore introita anche una lettura più umana, o addirittura sacrilega dei concetti e dei personaggi religiosi. Si pensi ad es. all’ancilla Domini di Dante Gabriele Rossetti (1828-1882), una Madonna seduta sul letto, più dubbiosa che disponibile al messaggio dell’angelo; al crocifisso in bassorilievo di Giacomo Manzù (1908-1991), un Cristo (partigiano) appeso per un solo braccio alla croce, guardato a vista da un soldato (tedesco) panciuto con tanto di elmetto; all’entrata di Cristo in Bruxelles di James Ensor (1860-1949); al volto umano del Cristo di Georges Rouault (1871-1958); alla crocifissione di Renato Gottuso (1911-1987) con la Maddalena nuda; alla corona di Spine di Alfred Manessier (1911-1993; all’Ecce homo di Lovis Corinth (1858-1925); e gli esempi potrebbero continuare numerosi.
2.6. Musica sacra
La musica sacra cristiana si diffonde e produce opere di grande rilevanza soprattutto a partire dal sec. XV, per raggiungere il suo massimo sviluppo nei secc. XVII e XVIII, nel periodo della cosiddetta musica barocca, senza tuttavia mai cessare. La musica sacra cattolica viene prodotta soprattutto in funzione liturgica: messe, salmi, laude, cantate, e altri generi. Musicisti grandissimi hanno lasciato opere di altissimo valore: si pensi, tanto per fare solo alcuni esempi alla Messa a tre voci di Tommaso Albinoni (1671-1775), al Kyrie, Gloria, Credo di Antonio Vivaldi (1678-1741); allo Stabat mater di GianBattista Pergolesi (1710-1736), alla Missa in do maggiore e alla Missa solemnis di Ludwig van Beethoven (1770-1827), alla Missa brevis, al Miserere di W. Amadeus Mozart (1756-1791), alla grande Messe des morts di Hector Berlioz (1803-1869), alla Missa requiem di Giuseppe
Verdi (1813-1901), alle diverse missae, Avemaria, Stabat mater di Lorenzo Perosi (1872-1956), alla Missa, Pater noster, Introitus, Requiem di Igor Stravinski (1882-1971), al Credo, Magnificat, De profundis di Avo Part, e molti altri.
Questa produzione e tantissima altra ha emozionato, coinvolto, masse popolari ed élites cristiane nei secoli scorsi, ha contribuito a trasmettere conoscenze e formule che si sono radicate nella memoria e che hanno favorito la vitalità delle locuzioni prese in esame in questo volume e tante altre.
La crisi religiosa con la fuga delle masse dalle chiese, l’agnosticismo dei nostri giorni, non ha fatto scomparire del tutto l’interesse per la musica religiosa, che ancora trova i suoi appassionati, se non nelle chiese, nei teatri e nell’ascolto privato. In questi ambiti la musica sacra può continuare a svolgere ancora la funzione di veicolo per determinate locuzioni.
2.7.Letteratura laica
Anche la letteratura laica, può essere stata ed essere veicolo, di conoscenza e memoria di personaggi, fatti e convinzioni cristiano-cattoliche come anche di relative locuzioni. Per il passato si può menzionare, tra gli altri: Divina Commedia di Dante Alighieri (1265-1321), Inno alla Vergine del Petrarca (1304-1374), Il pianto sulla passione di Cristo di Vittoria Colonna (1492—1547), Dialogo dei poeti di Francesco Berni (1497-1535), Le lacrime di San Pietro di Luigi Tansillo (1510-1569), Gerusalemme liberata e Le sette giornate del mondo creato di Torquato Tasso (1544-1595), Promessi sposi e Inni sacri di Alessandro Manzoni (1785-1873), Piccolo mondo moderno, Il santo e Leila di Antonio Fogazzaro (1842-1911).
Una maggiore attenzione merita la produzione contemporanea, o meglio del XX secolo, sia per il modo con cui approccia e descrive il sacro cristiano, sia per l’influsso che ha e può aver avuto sulle locuzioni di nostro interesse.
Nel XX secolo c’è stata una letteratura laica considerevole, dedicata a fatti, personaggi e sentimenti religiosi: biografie, saggi, romanzi storici, tragedie, poesie, canzoni, e altri generi, lavori scritti sia da cattolici, sia da protestanti, sia da credenti, sia da non credenti.
La saggistica su Gesù, per es. è immensa; comincia a svilupparsi nel Settecento e si continua nei secoli successivi seppure con orientamenti diversi; in questi ultimi anni è molto fiorente la ricerca sul Gesù storico: si pensi agli scritti di studiosi viventi come Edward Parish, John Dominic Crossan, Raymond Edward Brown, Ida Magli, Vittorio Messori, e numerosissimi altri; anche la ricerca sulla Madonna, seppure inferiore sul piano quantitativo, ha prodotto numerosi titoli, si vedano i saggi di John Shelby Spong, Ida Magli, Vittorio Messori, e altri.
Non mancano studi, opere teatrali, romanzi, incentrati, o semplicemente paradigmatici, su personaggi e fatti biblici anche minori, nella tradizione cristiano-cattolica accettati o rifiutati, esaltati o denigrati, figli del bene o del male. Tanto per fare qualche esempio si può citare la trilogia teatrale di Giovanni Testori incentrata sulla passione e morte di Cristo: Interrogatorio a Maria, Crocifissione, Factum est; tra i romanzi L’esorcista di William Peter Blatty, e L’ultima tentazione di Cristo di Nikos Kazantzakis. Merita una menzione particolare il Vangelo secondo Giuda delle scrittore Jeffrey Archer che si inserisce in un’ampia letteratura degli ultimi anni sulla figura rivalutata di Giuda: non più il cinico traditore per trenta denari, ma un uomo che drammaticamente riflette sulla natura della missione del suo maestro.
Molti poeti contemporanei, credenti e no, hanno scritto poesie soprattutto sulla figura di Cristo, sul ruolo della divinità nella vita degli uomini, su Maria, sugli apostoli, su temi biblici, e altro ancora. Penso al Caino di Ungaretti; alla Passione di Cristo di Mario Luzi; al Magnificat, a Un incontro con Maria, al Corpo d’amore, Un incontro con Gesù di Alda Merini; alle poesie Aspirazioni, Madonnina e Deus di Giovanni Giudici; alla poesia Nel tuo sangue di Giovanni Testori, alle poesie Preghiera,
Dimitte servum tuum e Deus absens, di Alfonso Traina; e l’elenco potrebbe ancora continuare, lunghissimo.
Un cenno rapido merita anche la lingua cantata, o meglio le canzoni a tema religioso: tra queste particolarmente significative e di grande successo sono Si chiamava Gesù, Il sogno di Maria e Ave Maria di Fabrizio De André, come anche Giuda Iscariota di Lorenzo Jovanotti, e se ne potrebbero citare molte altre.
Dalla letteratura in prosa e in versi, come anche dalla canzone degli ultimi anni, limitatamente alla tematica religiosa e cristiana, emerge un disperato bisogno di contatto con il sacro, in particolare con Cristo e la Madonna, ma in particolare con un Cristo di nuovo fatto uomo e con una madonna di nuova fatta donna, un bisogno e un desiderio che sembrano passare attraverso la dissacrazione, per altro evidente anche nelle più recenti opere figurative e plastiche (vd. 2.5.), come nella cinematografia (vd. 2.8.); una dissacrazione che trova conferma in varie locuzioni correnti, o meglio nel loro uso (vd. 4.2.).
2.8. Cinematografia
Anche la cinematografia, praticamente fin dai suoi primordi, ha sviluppato tematiche religiose in particolare bibliche. Già nel 1897 i fratelli Loumière trattano il tema passione di Cristo con Passion de Horitz, una serie di quadri in movimento dedicati alla vita di Gesù dall’adorazione dei magi alla resurrezione. Gli anni 20-60 del secolo scorso sono quelli dei grandi kolossal biblici, si pensi a Ben Hur di Fred Niblo, a Golgota di Julien Duvivier, al Ben Hur di William Wyler, al Re dei Re di Nicholas Ray e molti altri.
Nel contesto di film a tema biblico, quelli dedicati alla figura di Cristo nell’arco del XX secolo sono numerosi, centrali per risonanza, coinvolgimento di massa, specchio di lettura e interpretazione del messaggio evangelico. Possiamo parlare, in estrema sintesi, di due filoni. Il primo sostanzialmente coerente con la tradizione iconografica, narrativo, non problematico: in questo, tra gli altri, il Gesù di Nazaret di Franco
Zeffirelli del 1977 e La passione di Cristo di Mel Gibson uscito nelle sale nel 2004 e successivamente trasmesso dalla televisione italiana più volte, sempre con grande successo di pubblico. Il secondo filone, di libera interpretazione della tradizione, può essere rappresentato dal Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini, dal Gesù Cristo superstar di Norman Jewison del 1973 e dall’Ultima tentazione di Cristo di Martin Scorsese del 1988. Al di là della diversità della trama, ciò che unisce questi tre film è la presentazione di Cristo come uomo. Un Cristo non Dio, ma divino nel film di Pasolini, un Cristo che, come scrive il regista, “possiede una umanità così alta, così rigorosa e ideale da andare al di là dei comuni termini dell’umanità”; un Cristo quello di Jewison, che sfida il mondo intero, ottiene successo, però ad un certo momento comincia a comportarsi come una superstar arrivando a proclamarsi Dio, in contrasto con Giuda che per questo arriva a tradirlo. Anche quello di Scorsese è un Cristo profondamente umano: ha paura della morte, si innamora, diventa padre, alla fine decide di morire sulla croce.
Cineasti e registi laici, anche non credenti, in questi ultimi tempi hanno proposto molti altri film veicolanti messaggi e contenuti cristiani, tra questi, solo per menzionarne alcuni di maggiore successo: Il grande silenzio di Philip Gröning, 2005; Uomini di Dio di Xavier Beauvais, 2010; Philomena di Stephen Frears, 2013; La religiosa di Guillaume Nicloux, 2013. Attraverso questi e tanti altri vengono veicolati costumi monastici, episodi biblici, preghiere, che comunque permangono nella memoria dei parlanti e possono favorire l’uso di locuzioni.
2.9. Pubblicità
La pubblicità è il veicolo che più allontana il parlante, che utilizza locuzioni cristiane, dal loro significato originario religioso, e tuttavia in qualche modo contribuisce al perdurare di parole e immagini nella mente e dunque al loro trasferimento sul piano orale o scritto. Per pubblicità intendo denominazioni, slogan designanti enti caritativi, gruppi economici, radio private, ristoranti, alberghi, ecc. Queste denominazioni talora sono
appropriate, talora no, talora sono provocatorie nei confronti della sensibilità del credenti, talora sembrano scelte a caso.
Può essere denominazione appropriata quella di Cireneo per una fondazione che si propone di aiutare bambini in difficoltà, o di Epulone per un ristorante, molto meno quelle di Samaritano per una locanda a pagamento o di Latte e miele per una radio privata; può apparire quasi sacrilega l’espressione fiat lux per una fabbrica di prodotti elettrici, o refugium peccatorum per una rosticceria o paninoteca, fino ad essere controproducente e certo non beneaugurante la denominazione di Babel per una scuola di lingue, da cui non dovrebbe venire confusione, ma apprendimento delle lingue stesse, o di Giuda per una banda musicale.
2.10. Sintesi dei veicoli e del loro significato
Se consideriamo dei vari veicoli la fase che potremmo chiamare contemporanea, emergono almeno due caratteristiche trasversali: l’interesse per il sacro cristiano-cattolico e la dissacrazione dello stesso o, se si preferisce, la sua umanizzazione.
L’interesse per il sacro cristiano è confermato dalla quantità della produzione incentrata su di esso, e di cui si è menzionata solo una minima parte. Esso, cosa ulteriormente significativa, è diffuso un po’ in tutto l’Occidente (ma non solo), che, per altro, vive la stessa crisi religiosa, ed anche esistenziale.
Questo interesse presenta una caratteristica, che oserei definire unica nella storia del mondo occidentale ed in particolare nella storia del cristianesimo: si manifesta in forma dissacrante e insieme umanizzante. Se esaminiamo alcune delle opere pittoriche, letterarie e poetiche, cinematografiche recenti, vediamo subito che l’alone di grandezza, di serenità, di distacco dal mondo delle figure di Cristo e della Madonna come dei santi, che ha, per lo più, caratterizzato le opere di committenza ecclesiastica nel passato, è quasi scomparso: la Madonna di Dante Rossetti che riceve l’annuncio dell’angelo appare piuttosto titubante, la Madonna del Magnificat di Alda Merisi è una figura fragile, quasi eterea, la Vergine
di Fabrizio De André rivela tutta la sensualità di un rapporto felice e poi tutto il dramma di una madre cui viene ucciso il figlio; il Cristo di Manzù viene identificato con un partigiano che paga il prezzo della sua libertà con la crocifissione; il Cristo di Martin Scorsese è un uomo che vive tra mille dubbi e la paura della morte. Il dio cui si rivolgono Traina e Jovanotti è un dio desiderato che sfugge alle sue responsabilità, che ha quasi paura, lui stesso, del suo ruolo.
Sì, tutta questa produzione contemporanea costituisce un veicolo di conoscenze, di emozioni e sentimenti relativi al sacro, ma quel sacro cristiano cattolico, che ha prodotto e produce termini e locuzioni si fa più vago nel ricordo e nell’immaginario del parlante, più vicino alla terrestrità, più lontano dal soprannaturale. Conseguenza sul piano linguistico e sull’uso corrente di locuzioni e termini ispirati al e dal cristianesimo: i termini e le locuzioni, diciamo così, si laicizzano, diventano più sfuocati e dissacranti se non del tutto impropri e inespressivi, almeno in rapporto all’origine e alla fonte primaria.
3.Epoche della laicizzazione delle locuzioni cristiane
Non mancano in nessun periodo storico locuzioni di origine cristiano-cattolica diciamo così laicizzate, trasferite cioè, per metafora, dal piano sacro, biblico, liturgico, ultraterreno a quello reale, concreto e terreno: ad es. già nel Novellino (fine del sec XIII) e in Giovanni Boccaccio (1313-1375) fare il diavolo a quattro o avere il diavolo in corpo, nel senso di essere agitati; in Luigi Pulci (1432-1484) diluvio di pidocchi, non di pioggia; in Carlo Goldoni (1707-1793) povero diavolo, un pover’uomo; in Alessandro Manzoni, omnia munda mundis, in riferimento alla presenza di donne in convento, e così via.
È chiaro che la laicizzazione di una certa locuzione da parte di uno scrittore profano può costituire il volano per la sua diffusione, soprattutto se lo scrittore o l’opera ottiene un notevole successo di pubblico, e tanto più se l’autore o l’opera diventano dei classici letti e studiati nella scuola pubblica.
L’aumento esponenziale della laicizzazione di forme e modi di dire cristiani cattolici avviene nei secoli XIX e XX.
Alcuni esempi di usi profani più o meno banalizzanti o addirittura irriverenti del XIX secolo possono essere i seguenti: la manna biblica come una soluzione di un problema; l’antifona nel senso di un messaggio ripetitivo e noioso; la sacrestia in quanto luogo di bigottismo e di falsità; ecc.
Tra gli scrittori che usano o riprendono e comunque contribuiscono a diffondere laicizzazioni, banalizzazioni più o meno irriverenti si può citare Giacomo Leopardi (1798-1837), Vincenzo Gioberti (1801-1852), Niccolò Tommaseo (1802-1874), Giuseppe Mazzini (1805-1872), Giuseppe Giusti (1809-1850), Vincenzo Padula (1819-1893), Carlo Collodi (1826-1890), Ippolito Nievo (1831-1861), Giosuè Carducci (1835-1907), Giovanni Verga(1840-1922) e tanti, tanti altri.
Il contributo degli scrittori appena menzionati, e di altri dello stesso periodo si inserisce e si comprende nel clima culturale e ideologico di quegli anni, nella formazione culturale degli scrittori, nella volontà di raggiungere i ceti popolari.
Le idee illuministiche prima e i moti risorgimentali poi, avevano finito per determinare un clima abbastanza diffuso di anticlericalismo. Gli scrittori sopra menzionati e altri avevano ricevuto una formazione giovanile impregnata di religiosità tradizionale ma nel contempo avevano finito per aderire ad una lotta politica e/o a movimenti religiosi riformatori che finivano per conflittare con le posizioni religiose-ideologiche tradizionali, con una chiesa legata ai beni terreni e al potere temporale, con un clero tradizionalista, con ordini religiosi reazionari, per es. i Gesuiti. L’esigenza di raggiungere i ceti popolari e le masse rurali, per coinvolgerle nell’auspicato rinnovamento politico e culturale, favoriva il ricorso a forme ed espressioni cristiane cattoliche, arricchite o stravolte con i nuovi valori.
Subiscono la stessa laicizzazione sovente più pesantemente irriverente, addirittura sacrilega nel XX secolo altri termini e locuzioni, per es.: agnello sacrificale può diventare anche una persona sacrificata per scopi ignobili; apocalisse nel senso di una qualunque catastrofe terrena; apostolo per designare un appassionato divulgatore di una qualunque dottrina anche anticristiana; ecc.
Tra gli scrittori che hanno usato e/o contribuito a diffondere termini e locuzioni laicizzati o profanizzati, si può ricordare, Gabriele D’annunzio (1863-1931), Bruno Cicognani (1879-1971), Emilio Gadda (1893-1973), Bonaventura Tecchi (1896-1968), Giuseppe Tomasi di Lampedusa (1896-1957), Ignazio Silone (1900-1978), Giuseppe Marotta (1902-1963), Mario Soldati (1906-1999), Guido Piovene (1907-1974), Primo Michele Levi (1919-1987), Mario Pomilio (1921-1990), Pier Paolo Pasolini (1922-1975) e tantissimi altri.
La laicizzazione ulteriore di locuzioni di origine cristiano-cattolica, vieppiù dissacrante, propria del sec XX si spiega con una serie di fatti e situazioni che caratterizzano il secolo: le perduranti tensioni tra stato e chiesa almeno fino al concordato; la diffusione del comunismo e della sua ideologia materialista dopo la seconda guerra mondiale, fortemente avversata dalla chiesa cattolica; i movimenti di contestazione del sistema degli anni sessanta e settanta, che coinvolgono anche la chiesa considerata una baluardo della conservazione; l’agnosticismo, l’ateismo e l’ignoranza religiosa sempre più diffusi nella società post industriale; i movimenti letterari e artistici che già a partire dalla fine del secolo precedente auspicano, favoriscono e comportano una interpretazione vuoi soggettiva, vuoi terrena del sacro: simbolismo, realismo, futurismo, cubismo, neorealismo, e altri.
4.Caratteristiche dell’uso corrente laico
Da una valutazione d’insieme dell’uso corrente laico di termini e locuzioni originati in ambito cristiano cattolico, quale emerge dai giornali presi in esame, risaltano alcune caratteristiche che vale la pena sintetizzare: banalizzazione, dissacrazione, metaforizzazione mostruosa,
espressività popolare, totale svuotamento semantico, peculiarità delle locuzioni latine.
4.1. Banalizzazione
Moltissimi sono i termini e le locuzioni tipicamente cristiani cattolici, che nell’uso laico corrente subiscono il fenomeno della banalizzazione, passano cioè a designare cose o persone o situazioni comuni, banali e tuttavia familiari per il parlante; cose o persone che, con le originarie, hanno solo un vago, tenue rapporto metaforico. Alcuni esempi: l’accolito non è più colui che è investito di un ordine minore, ma qualsiasi individuo a servizio o nella disponibilità di un altro, non senza una qualche sfumatura negativa; l’angelo custode da creatura celeste può diventare una guardia del corpo, anche di un criminale; un qualunque difensore, sostenitore di una qualche dottrina o istituzione, anche criminale o illegale, può diventare un apostolo; il battesimo non è più solo il primo sacramento per il futuro cristiano, può essere ‘somministrato’anche ad un oggetto, una iniziativa; chiunque si fa carico di pesi fisici e morali non suoi si prende il nome di quel Simone di Cirene che portò la croce di Cristo; ogni personaggio in qualche difficoltà o assalito da nemici non necessariamente terribili, si può trovare nella fossa dei leoni, non veri come quelli del profeta Daniele; una ideologia, anche contraria alla fede cristiana e accettata ciecamente, può diventare vangelo o dogma; un palo che funge da sostegno può divenire un buon samaritano; a proposito di un pedaggio autostradale non più gratis si scrive sic transit gloria mundi; un errore banale, e magari casuale, ben lontano dal determinare la salvezza dell’umanità, può divenire una felix culpa; la formula con cui viene dato l’annuncio della elezione del papa, habemus papam, può essere usata anche da criminali che vedono eleggere il proprio uomo in posti chiave; l’elenco potrebbe continuare.
4.2. Dissacrazione
Non sono poche le singole forme e allocuzioni in cui il senso sacro viene, per così dire, profanato, fino ad arrivare, in taluni casi, ad una vera e propria offesa (difficile dire fino a che punto consapevole) del sentimento
religioso del credente. Facciamo alcuni esempi: una squadra di calcio destinata a perdere, o un poliziotto sacrificato alla ragione di stato diventano agnelli sacrificali, come Cristo redentore dell’umanità peccatrice; un animale abbandonato può essere considerato un povero Cristo; il cero che il cristiano offre alla divinità come simbolo della sua fede, o per grazia ricevuta, può diventare un segno di riconoscenza nei confronti di un ladro che ha permesso di scoprire altri furti; il luogo, dove vengono custoditi i paramenti sacri, sembra caratterizzarsi per una puzza di negatività varie, come falsità, ipocrisia, reazione; una personalità politica potente, se fa comodo, può essere invocata come una santa, con l’antifona che il fedele rivolge alla Vergine, ora pro nobis; le parole del Padre Eterno che crea la luce, fiat lux, possono diventare l’auspicio di un fan che spera nella rinascita del proprio idolo; Tommaso da Celano certo non immaginava che qualcuno si sarebbe appropriato delle sue parole per descrivere l’ira di Berlusconi; le parole di Pilato, che presenta Cristo flagellato alla folla inferocita, ecce homo, quelle due parole che tanto hanno commosso, nei secoli, il popolo cristiano, che tanti pittori hanno ispirato, quelle stesse parole riferite ad un uomo qualunque o un po’ meno, con i suoi vizi e le sue meschinità, forse sono decisamente troppo per la sensibilità di un credente, ed anche per il buon gusto di un non credente…; almeno un ebreo potrebbe indignarsi nello scoprire che il sancta sanctorum, può divenire una bella fanciulla, luogo privilegiato della depravazione di un personaggio importante; un credente che vede attribuire ad “un tizio” l’invito a non gettare le perle ai porci, potrebbe avere un sussulto di sdegno, sentendo chiamare Cristo “Tizio”; fedeli, che nella cerimonia delle rogazioni supplicano il buon Dio, affinché tenga lontani da loro i mali che affliggono l’umanità, forse si stupirebbero nel leggere che qualcun altro utilizza con fede la stessa formula libera nos per essere liberato da Mario Monti; uno che si trova ad ascoltare una frase come ‘per grazia di Dio sono ateo’ forse si domanda se non vuole essere una provocazione, oppure se colui che parla è pienamente in sé. E l’elenco potrebbe continuare…..ma perché togliere al lettore il gusto della scoperta, o meglio della sorpresa?
4.3.Metaforizzazione mostruosa
Talora si riscontrano moduli e locuzioni, di origine cristiana cattolica, metaforizzati in direzioni grottesche, impossibili: la sanità elettronica può trasformarsi in un angelo custode; Monte dei Paschi di Siena diventa un vivace agnellino sacrificale; un uomo può essere una torre di Babele; una regione come la Catalogna può mettersi in cammino per recarsi, pentita, a Canossa; lo Yogurt torna indietro alle sue origini e diventa un capro espiatorio; la verità viene messa in croce; Equitalia, piccolo David, abbatte il gigante Golia evasore; anche i germi vanno in paradiso.
4.4. Espressività popolare
Alcuni modi di dire incentrati su figure chiave della religione cristiana cattolica, quali Cristo, il demonio, la Vergine e i santi, portano in sé una forte carica emotiva, espressiva, coloristica. Proprio questo aspetto può rivelare una loro origine popolare che, in quanto tale, è difficile collocare nel tempo. Si possono soltanto documentare la prima o le prime comparse nella lingua scritta.
A conferma della natura popolare di determinate locuzioni, si può addurre per es. la presenza della coda e delle corna del demonio oltre che nei modi di dire, anche nell’iconografia dello stesso, dominante nei grandi affreschi, bibbia degli analfabeti; in concreto credo possano essere considerati popolari modi di dire come abitare a casa del diavolo, il diavolo ci mette la coda, parli del diavolo e spuntano le corna; ecc. La medesima conferma si può addurre per la locuzione madonnina infilzata, in riferimento ad una donna devota e/o soprattutto ipocrita, in linea con l’iconografia amata dal popolo della Madonna Addolorata, cui uno o sette pugnali trapassano il cuore; è specchio di una devozione popolare particolarmente diffusa, quella delle reliquie, lo stinco di santo come metonimia per santo, donde la locuzione essere o non essere uno stinco di santo.
Forse rispecchiano la fede interessata, ma insieme anche la violenza di ambienti popolari disperati, oppressi da malattie e prepotenze umane,
espressioni al limite della bestemmia, come: non c’è Cristo che tenga, non avere o avere santi in paradiso, non ci sono santi che tengano, far credere che Cristo è morto dal freddo, o santa Madonna! ecc.
4.5.Totale svuotamento semantico
Esistono esempi in cui il senso originariamente cristiano e sacro di talune locuzioni svanisce completamente, per trasformarsi in una sorta di sentimento, di stato d’animo: è questo il caso, talora, di amen, requiesca(n)t, Deo gratias, che finiscono per esprimere sollievo per un incubo finito, indifferenza, disinteresse, soddisfazione per una fortuna, e proprio per questa vaghezza semantica possono venire accumulati.
Lo svuotamento semantico totale lascia un senso di sorpresa, quasi disorientamento in colui che ascolta o legge, quando certe espressioni, che pure in sé hanno un senso, rimangono come sospese nel vuoto, come voces nullius.
4.6.Peculiarità delle locuzioni latine
Nelle locuzioni latine di origine cristiana cattolica, quando esse passano all’uso corrente, si possono verificare gli stessi fenomeni di banalizzazione dissacrazione, ecc. come sopra esemplificati. Un fenomeno tuttavia appare esclusivo di alcune di esse: la decurtazione della locuzione-formula originale e/o l’integrazione con elementi volgari, onde piegarla a funzioni del tutto estranee.
Sono esempi di decurtazione e integrazione con elementi volgari, cioè italiani espressioni come: libera nos a malo, che diventa libera nos a Monti; sic transit gloria mundi che si trasforma in sic transit gloria Monti; vade retro che perde sovente satana, sostituito da nomi di persona o comuni per es. vade retro ghiaccio; sono esempi di sola decurtazione requiescant senza in pace; mea culpa, mea culpa, senza mea maxima culpa o un semplice mea culpa, pronunciato a denti stretti.
5.I giornali e i modi di dire cristiani
Le caratteristiche delle locuzioni di ispirazione cristiano-cattolica quali sono state sintetizzate nella sezione precedente, certamente sono vive e correnti, ma non dimentichiamo, sono anche il prodotto dello stile, o meglio del linguaggio giornalistico. Oggi, a differenza di ieri, quello giornalistico è soprattutto un linguaggio di informazione e, in quanto tale, attinge a tutti i possibili livelli e registri di lingua dal colto al colloquiale, dal religioso al laico, dal tecnico al banale, dallo sportivo al politico, e così via.
Proprio per questa caratteristica comune, non esiste una linea di demarcazione netta nel ricorso a termini e locuzioni cristiano-cattolici da parte dei singoli giornali. Tutti, laici e no, politici o meno, sportivi e no, ne fanno un qualche uso (più o meno opportuno), a conferma della profonda penetrazione del cristianesimo nel tessuto della lingua degli Italiani, consapevoli o no, religiosi o meno, cattolici o meno..
E tuttavia si può forse notare una certa differenza di comportamento tra giornali cattolici da un lato e laici dall’altro.
Nei primi non si riscontrano (o almeno non ne ho rilevato negli ultimi anni) esempi di un uso dissacrante e nemmeno di uno uso totalmente sfuocato: mai ad es. ricorrono locuzioni irriverenti su Cristo, la Madonna e i santi, o espressioni che comunque se non dissacratrici, possono suonare almeno superficiali.
Quando un giornale cattolico fa ricorso a termini e locuzioni cristiani, e tuttavia con valore laico o profano, lo fa ove quest’ultimo non conflitta con quello cristiano, e anzi ne conserva l’essenza semantica, così certosino come attributo di regolarità, lavoro, impegno, ecc.; fariseo con la valenza, coerente con quella evangelica, di ipocrita e formalista; latte e miele come luogo o persona dolce, gradevole; vacche grasse e magre come epoca, periodo, rispettivamente di abbondanza e ristrettezze.
Tra i giornali che possiamo chiamare laici non mi pare che appaiono differenze rilevanti nell’uso di locuzioni legate al cristianesimo; forse si
può notare delle differenze soprattutto sul piano quantitativo: sembrano più propensi ad accogliere locuzioni cristiane giornali come la Repubblica, l’Unità e il Giornale, pur di indirizzo politico e ideologico diverso.
6.Parole e locuzioni cristiane cattoliche nelle lingue occidentali
Parole chiave e rispettive locuzioni cristiane cattoliche, di uso corrente laico nell’italiano, trovano, nella grande maggioranza, una straordinaria corrispondenza, letterale o comunque equivalente, nelle più importanti lingue occidentali, a conferma, da un lato della comune base cristiana della cultura e della civiltà occidentale, e dall’altro della comune crisi della religione cristiana, sia cattolica, sia protestante, crisi che oggi investe tutti i paesi dell’Europa occidentale. La comunanza di parole e locuzioni, è particolarmente vasta nell’ambito biblico, meno in quello liturgico e ancora meno in quello relativo alla storia della chiesa. In effetti la Bibbia costituisce la base ideologica comune tra tutte le chiese cristiane; oggetto comune di predicazione e di lettura. Facciamo alcuni esempi di parole chiave e locuzioni.
6.1. Parole chiave
Accolito: fr. acolyte, sp. acólito, ingl. acolyte, ted. Akoluth (Altardiener);
anatema: fr. anathème, sp. anatema, ingl. anathema, ted. Anathema;
angelo custode: fr. ange guardien, sp. angel custodio, ingl. guardian angel, ted. Schutzengel;
antifona: fr. antienne, sp. antífona, ingl. anthem, ted. Antiphon;
apocalisse: fr. apocalypse, sp. apocalipsis, ingl. apocalypse, ted. Apokalypse;
apostolo:fr. apôtre, sp. apóstol, ingl. apostle, ted. Apostel;
babele: fr. babel, sp. babel, ingl. babel, ted. Babylon;
battesimo: fr. baptème, sp. bautismo, ingl. baptism, ted. Baptismus (Taufe).
6.2. Locuzioni basate sugli stessi termini chiave
6.2.1, Accolito
“démarré une carrière dans le milieu du cirque avec son acolyte Footit” (Le F. 16.02.2015); “sigue siendo su cliente, hasta el punto de situarse más como acólito suyo que como director de su defensa” (El P. 03.11.2014); “but it is the languid artifice of his posture that says most about CJ, the man his acolytes called the Boss” (The Tim. 18.01.2015); “Sieben Jahre Gefängnis Erst als die Kommune-Kinder erwachsen wurden und ihm einige seiner glühendsten Akoluthen davonliefen, wurde behördlicherseits gegen den kunstautonomen Diktator ermittelt” (Süd. Z. 27.05.2013).
6.2.2.Anatema
“lutter contre l'anathème jeté par les hygiénistes sur le lait cru” (Le F. 31. 10.2014); “Revisar el Estatuto y la LTH no es anatema para el PNV” (El P. 21.01.2012); “It may seem anathema in the age of social media and access to the world’s newspapers via the internet” (The Tim. 04.09.2014); “Da fällen die Weisen ihr Verdikt, eines Anathemas des Papstes gleich: Verschwinde aus meiner Partei, du bist der Teufel! ” (Süd. Z. 18.03.2012).
6.2.3.Angelo custode
“Marine Le Pen[...]un ange gardien redoubtable” (Le F. 19.05.2013); “En esta ocasión fue su ángel custodio, pues gracias a que había decidido quedarse a dormir junto a las ovejas para protegerlas evitó una nueva matanza” (El P. 16.11.2014); “A woman accused of plotting a house fire in which her six children died said that her husband had been her guardian angel, rescuing her when she was a 19-year-old single mother” (The Tim. 13. 03.2013); “ Ja, wenn. Maria aber hatte einen Schutzengel, oder zwei, oder drei” (Süd. Z. 18.04.3013).
6.2.4.Apocalisse:
“Une fois sur place[...]confrontés à une véritable vision d'apocalypse” (Le F.15.10.2013); “Hasta la fecha, la comunidad del apocalipsis de la deuda se ha equivocado en todo” (El P. 25.10.2013); “The world has not
been so close to apocalypse since 1953 when the US and USSR were both brandishing their hydrogen bombs, according to the Doomsday Clock”. (The Tim. 23.01.2015); “Hunderte Schreckensbilder auf den Zuschauer herab, parallel dazu kommentiert eine tiefe Männerstimme die amerikanische Apokalypse” (Süd. Z. 30.03.2012).
LOCUZIONI ITALIANE
Accolito
DIVENTARE, ESSERE ACCOLITO DI QUALCUNO O QUALCOSA
Il termine accolito è forma greca, passata nel latino ecclesiastico e di qui nell’italiano. Per molti secoli il termine è rimasto un tecnicismo ecclesiastico ad indicare un chierico investito di un ordine minore, appunto accolitato, con il compito di preparare tutto quanto necessario per il servizio liturgico: candele, abiti, vino, e altro.
Oggi, nell’uso profano, la parola designa qualunque persona a servizio e nella disponibilità di un’altra, non senza una certa sfumatura dispregiativa, in relazione alla sua subordinazione passiva.
Nella letteratura italiana il termine acquista un significato profano, solo ai primi del Novecento, per es. in B. Cicognani.
“Il 4 febbraio è sceso in piazza con un manipolo di accoliti, davanti al municipio di Varese, dove è tornato a chiedere meno tasse” (il F.Q. 04.02.2014); “La sfrontatezza e il senso di totale impunità con cui si muovono i “turbanti neri” e i loro accoliti si manifesta nell'accurata selezione con cui sono scelti” (Avv. 13.06.2013); “L’imperativo non viene, sorprendentemente, da un accolito di
Berlusconi. Al contrario, è uno dei renziani che hanno iniziato a ragionare” (la R. 29.11.2014); “Ha avuto il coraggio di fare assurgere a padre della Patria un delinquente plurindagato e condannato ed un suo accolito con altrettanti requisiti” (il F.Q. 17.12.2014).
Agnello sacrificale
DIVENTARE, ESSERE, RAPPRESENTARE (UN/LO) AGNELLO SACRIFICALE
Nell’A.T. (ma anche nel mondo pagano antico), l’agnello è simbolo di mitezza e innocenza. Nel N.T. Cristo è l’agnello di Dio che, sacrificando se stesso, toglie i peccati del mondo (Giovanni 1,29).
Per gli ebrei agnello sacrificale è quello che i sacerdoti immolano nel tempio il giorno 14 del mese di Nisan (Marzo) che, in contemporanea ogni capo famiglia israelita, offre in sacrificio. All’agnello sacrificale vengono tolte le interiora destinate ad essere bruciate sull’altare; la parte rimanente viene arrostita secondo un preciso rituale e consumata; ovviamente per i cristiani l’agnello sacrificale è Cristo.
L’espressione ‘agnello sacrificale’, al di fuori del contesto biblico e cristiano, può designare persone o cose, sacrificate per gli scopi più diversi, non necessariamente legittimi e/o positivi e giusti.
“All'andata andò bene, anzi benissimo: i rossoblù, arrivati con il marchio dell'agnello sacrificale, sbancarono l'Olimpico con una rimonta” (l’U. 27.01.13); “Non si individui, come al solito, nel poliziotto l'agnello sacrificale per coprire precise omissioni o, peggio ancora, scelte lucide fatte a livello politico” (l’U. 16.07. 2013); “allo stato sventolano lo spauracchio di un'acquisizione straniera per cui Mps diventerebbe un agnello sacrificale chiesto dalla Germania” (il F. 03.01.2014); “Lei, paradigma di ogni società svalutata e che destina tutti i suoi valori a un consumo sempre più rapido, rappresenta l'agnello sacrificale: della (propria) speranza, quella di sopravvivere” (Il S.24 O. 01. 03.2014).
Anatema
ESSERE, LANCIARE (UN/LO) ANATEMA; ANATEMIZZARE (ANATEMATIZZARE) QUALCUNO/QUALCOSA
Il termine anathema come il verbo anathematizo appartengono al greco e al latino cristiani dei primi secoli in cui esprimono il concetto di ‘maledizione’, ‘esecrazione’. Si diffondono soprattutto a partire dal secolo XV per designare la scomunica, o cacciata dalla chiesa cattolica; comune diventa nel linguaggio curiale la formula anathema sit ‘ sia scomunicato’
È dall’Ottocento che, sia nel sostantivo sia nel verbo, si insinua anche il senso laico, oggi comune, di ‘esclusione’, ‘cacciata’, non dalla chiesa, ma da un ideologia, un partito, un’organizzazione, un gruppo, ecc.
“Ma va pur detto che il Borghese, evocato da Mauro per anatemizzare il concorrente giustizialista di Repubblica, era un giornale” (Il F. 25.08.2012); “E molti sostengono che anche l'anatema verso la De Girolamo sia l'ultimo capitolo di una guerra di potere che vede Francesca alleata con Mara” (l’U 29.01.2014); “L'anatema contro i dissidenti è lanciato dello stesso leader Beppe Grillo con un tweet postato questa mattina” (Il S.24 O. 21.02.2014); “Orsoni libero: non lancia anatema contro il partito che l'ha messo nei guai. Il sindaco riprende la poltrona: niente dimissioni” (Il G. 13.06.2014).
Angelo/Angelo custode
_essere, divenire (un/lo) angelo; essere, divenire l’angelo custode di qualcuno o qualcosa
Il termine angelo è parola greca che, attraverso il latino biblico passa nell’italiano e nelle varie lingue occidentali. Il significato originario è quello di ‘messaggero’, cui si aggiunge quello di creatura intermedia tra Dio e l’uomo, ministra di Dio.
Creatura intermedia, esecutrice di un compito particolare è anche l’angelo custode, che secondo teologia cattolica è assegnato ad ogni uomo affinché lo protegga dal male e ne presenti l’anima a Dio. L’utilizzo non religioso dell’espressione, a livello letterario, in riferimento a persona, si riscontra già nell’Ottocento, per es. nei Promessi sposi del Manzoni.
Oggi, nell’uso comune con angelo custode non si intende solo una creatura sopranaturale, ma anche un qualunque protettore e non solo in senso positivo, persino in senso negativo e persecutorio in riferimento a persone, e cose.
“Li hanno chiamati business angel, gli "angeli custodi" che aiutano a fondare nuove imprese con aiuti finanziari e consigli pratici” (Il S.24 O. 14.03.2011); “Sanità elettronica in Trentino, l'"angelo custode" via web” (F.C. 24. 05.2014); “Il mio angelo custode, maestro di sport e di vita che non manco mai di ricordare è stato Lupo” (Avv. 07.11.2014); “Da ieri i giornali parlano però della Severino «angelo custode» di Berlusconi” (l’U. 20.07.2014); “E invece, lo scorso marzo, un'altra trentina di "angeli custodi" di Obama, durante un viaggio ad Amsterdam, furono rispediti a casa” (Il F. 02.100.2014).
Cireneo
ESSERE, DIVENIRE, FARE (DA), OFFRIRE (UN/IL) CIRENEO; RUOLO DI CIRENEO
Con questo nome passa alla storia Simone da Cirene che, secondo i vangeli, aiuta Cristo a portare la croce nella salita al Golgota. Non sappiamo se egli fornisce il suo aiuto spontaneamente o viene costretto.
Cirene è una città antica e importante della Libia. In essa ai tempi vive una colonia numerosa di Giudei, dunque non c’è da stupirsi se il Simone del Vangelo si trovi in quei giorni in Gerusalemme, magari per le festività pasquali.
La parola cireneo, nei vari modi di dire correnti, non direttamente legati contesto biblico, definisce qualcuno che si fa carico di pesi, fisici e morali non necessariamente suoi, o comunque odiosi.
“ Siccome mi rifiutavo d'impugnare il vessillo, un cireneo comunista reggeva l'asta per me” (Il G. 4.07.2010); “L'unico ad averlo capito è il cireneo Bersani che ha avuto l'umiltà e il coraggio di rivolgersi a loro senza quella supponenza tante volte rimproverata alla sinistra” (l’E. 16.04.2013); “Si candida a premier non solo chi vince le primarie, aggiunge Guglielmo Epifani, segretario-cireneo. Insomma, il ragazzo di Firenze” (Il G. 11.11.2013); “Altre cose belle: la flagellazione pubblica di Guidolin, perfetto nel ruolo di cireneo. L'Udinese possiede il campo, il Torino possiede la partita” (l’U. 16.12.2013); “Petrini: Sala come il Cireneo, porterà croce di Expo per 6 mesi” (Q.N. 10. 05.2015).
C. De Predis, Il cireneo porta la croce, Historia illustrata del Nuovo Testamento (1476)
Colosso (dai piedi) d’argilla/gigante
ESSERE, DIVENIRE UN COLOSSO/GIGANTE (DAI PIEDI) D’ARGILLA
Nel V.T. (Daniele 2, 31-35) si racconta il sogno di Nabucodonosor, re di Babilonia: un colosso con la testa d’oro, il petto e le braccia d’argento, il ventre e le cosce di bronzo, le gambe di ferro, i piedi di ferro e argilla. Il profeta Daniele interpreta il sogno come allegoria della fragilità dei regni terreni, destinati a crollare a causa della caducità dei valori su cui si basano. Il colosso crolla quando il suo piede è colpito da un sasso lanciato da Dio.
Le locuzioni correnti, che alludono al sogno di Nabucodonosor; al di fuori dal contesto biblico, esprimono l’idea di fragilità, labilità di persone e soprattutto cose, in particolare stati, istituzioni, organizzazioni, economie e altro.
Nell’uso scritto compaiono già dall’Ottocento.
“Non ci sono solo le inchieste della magistratura: a pesare sulle spalle di Iren, gigante dai piedi d'argilla, un debito di oltre due miliardi e mezzo” (il F.Q. 21.01. 2013); “È un colosso (Il Brasile), ma dai piedi d'argilla, con una moltiplicazione impressionante della classe media che però deve fare i conti con la debolezza” (Il G. 25. 04. 2013); “Ma lo svizzerotto si sente circondato da un colosso d'argilla che di nome fa comunita' europea, con un cervello da gallina”(Il G: 19.06.2013); “Un colosso dai piedi d'argilla (Ilva di Taranto) senza soldi - ne servono tanti, un miliardo e 800 milioni” (l’U. 01.05.2014).
Convento
PRENDERE, ACCONTENTARSI DI CIÒ CHE PASSA IL CONVENTO
Il significato ancora corrente e primario di convento è quello di edificio in cui vive una comunità religiosa, dal lat. conventus, ‘riunione’, ‘adunanza’. I conventi come strutture sorgono molto presto nella storia del cristianesimo, in particolare cattolico; già nei secoli IV/VI, prima in Oriente, poi in Occidente. I conventi sono stati, fin dall’alto medioevo, oltre che luogo di vita in comune per i religiosi, anche luogo di assistenza e rifugio per bisognosi di vario genere.
È nel quadro di queste funzioni che si sono formate le espressioni di cui nel lemma; nella tradizione letteraria già nel sec. XVI, per es. in G.M. Cecchi, comico fiorentino.
In queste locuzioni oggi, al di fuori del contesto della religione, il convento diventa metafora per designare qualunque struttura di soccorso e di aiuto, anche esclusivamente laica, come una mensa pubblica, una struttura produttiva, una organizzazione sociale, politica, un partito, una scuola, una situazione.
“Ma quello che ha fatto passare il convento delle possibilità mancate e comunque perdute è stato solo il vago liberalismo” (Il F. 12.08.2012); “Il sottogoverno rispecchia quello che è il Parlamento. Come dire: questo passa il convento, con questo dobbiamo fare. Ma il caso Gentile va oltre il necessario compromesso” (l’U. 02.03.2014); “In attesa di una risposta di politica economica all'altezza della crisi, dobbiamo prendere quello che passa il convento” (il m. 17.04.2014); “È sotto gli occhi di tutti di quanta imbarazzante mediocrità sia pervasa la comunità episcopale e di come le diocesi e i fedeli debbano accontentarsi di quello che passa il convento” (il F.Q. 07.09.2014).
Cristo
ADDORMENTARSI IN CRISTO; CRISTO MORTO DI FREDDO/DI SONNO; (NON) DARE UN CRISTO DA BACIARE; FRATELLI IN CRISTO; NON C’È CRISTO CHE TENGA; NON CI SONO CRISTI; POVERO CRISTO
Il nome Cristo è parola greca e significa ‘unto’. In particolare riferita a Gesù, di cui diventa quasi un secondo nome, significa Unto del Signore, cioè scelto e inviato da Dio per redimere il suo popolo. Presso il popolo ebraico l’unzione è lo strumento della consacrazione di re, sacerdoti, profeti. Anche presso i cristiani l’unzione viene riservata a coloro che sono destinati ad una funzione particolare, come ad es. al sacerdozio. Gesù Cristo, Gesù l’Unto, è il fondatore del cristianesimo, vero Dio e vero uomo per i credenti, vero uomo e comunque indiscutibilmente uno dei più grandi mai comparsi sulla terra, per tutti.
Svariati modi di dire vengono costruiti sul nome di Cristo: alcuni esclusivi dei credenti, altri diffusi tra tutti, talora carichi di affettività, talora quasi sacrileghi, talora popolari, talora colti o letterari. Presuppongono fede in Cristo Dio e comunque adesione al suo messaggio espressioni come addormentarsi in Cristo, nel senso di morire da buoni cristiani, con i sacramenti, oppure fratello/padre in Cristo in riferimento a persona che, a pari o diverso grado, condivide la medesima fede. Nascono in ambiente popolare espressioni come dare a intendere che Cristo è morto di sonno o di freddo nel senso di raccontare fandonie, oppure non ci sono né cristi né madonne nel senso di non c’è nulla da fare, o anche povero Cristo nel senso di poveraccio e se Cristo è buono! rafforzativo di una affermazione.
Tutte le locuzioni appena elencate compaiono anche in contesti letterari, alcuni più antichi altri più recenti: per es. padre in Cristo, già nell’epistolario di Santa Caterina da Siena, altri più recenti, come povero Cristo in E. Gadda.
I giornali degli ultimi anni documentano una notevole vitalità soprattutto di povero Cristo, nel senso di poveraccio; non così diffusi ed in uso appaiono essere gli altri modi di dire, e per lo più in contesti orali.
Da notare che la stampa cattolica evita di fare ricorso ad espressioni che suonano talora irriverenti o comunque non particolarmente rispettose; solo le locuzioni fratelli/sorelle in Cristo, e padre /figlio in Cristo ricorrono nella stampa cattolica, espressioni peraltro quasi canoniche nel rapporto tra sacerdoti e fedeli.
“Se ai box serve una persona che segua la corsa alla tv e sappia sempre dov' è e cosa fa Schumacher, per tenermi informato, bé, non ci sono cristi: quella persona deve esserci e seguire la corsa in tv” (la R. 10.10.1997); “L'homo novus, la Brambilla, dice: non ci sono animali col pedigree ma poveri cristi”(IL F. 17.04. 2009); “Lo sapete com'è il presidente del Milan. «Se i contratti ci sono vanno rispettati, non c' è cristo che tenga” (la R. 25.05.2009)”; “Dialogo con tutti i fratelli in Cristo” Avv. 16. 02.2012) ; “Tutti fratelli, in Cristo” (Avv. 25.05.2014); la nonna diceva "tu mi vuoi far credere che cristo è morto di freddo?” (il F.Q. 10.06.2014) “pur di mantenere il punto diresti anche che il Cristo è morto di sonno” (il F.Q. 23.10.2014); “ Il nostro povero Cristo è però tignoso e va avanti con un ricorso alla commissione tributaria” (Il G. 16.07.2014); “Se al posto di Maradona ci fosse stato un povero cristo starebbe da tempo nelle patrie galere. Per Maradona sono già pronte le scuse ufficiali” (il G. 01.08.2014); “Sgozzano un povero cristo qualsiasi davanti alle tv di tutto il mondo” (il G. 24.08.2014).
Croce
ABBRACCIARE, PORTARE (UNA/LA) CROCE; COSTITUIRE, DIVENIRE (UNA/LA) CROCE; BUTTARE, DARE, GETTARE ADDOSSO LA CROCE; METTERE, STARE IN/SULLA CROCE; PORTARE LA CROCE E CANTARE; CROCE E DELIZIA; FARE, METTERE (UNA/LA) CROCE SOPRA; METTERE, SCRIVERE DUE PAROLE IN CROCE; A OCCHIO E CROCE
La croce è il simbolo per eccellenza della religione cristiana, il patibolo su cui è stato ucciso Cristo. Il termine, in sé latino, è di probabile origine sanscrita ‘krugga’; grazie al cristianesimo è comune a tutte le lingue occidentali. La croce è strumento di supplizio, già prima di Cristo, tra i Persiani, i Greci, i Cartaginesi ed i Romani i quali ne fanno largo uso presso i popoli conquistati, compresi gli ebrei. La croce, riservata agli schiavi e ai ceti inferiori, supplizio infamante per i pagani, diventa fonte di orgoglio per i cristiani.
Per la storia e la simbologia che rappresenta, alla croce si ispirano molti modi di dire che talora rimangono vitali nei secoli, si moltiplicano e perdurano, entrano a livello scritto e parlato, colto e popolare. In quasi tutti il riferimento alla croce di Cristo, come strumento, luogo di passione e dolore è abbastanza trasparente (abbracciare la croce, costituire una croce, gettare la croce, ecc.).
Nelle locuzioni fare una croce su qualcosa nel senso di rinunciare a qualcosa; mettere o scrivere due parole in croce, cioè scrivere qualcosa; a occhio e croce con il valore di approssimativamente, non è evidente il riferimento al dolore o alla sofferenza, che accompagnano la croce e in particolare la croce di Cristo, ma probabilmente, e piuttosto, alla consuetudine, attestata fin dall’alto medioevo, di firmarsi con una croce, da parte degli analfabeti.
Tutte le locuzioni di cui sopra, oggi ampiamente diffuse a livello di lingua corrente, hanno una lunga tradizione d’uso, anche nella letteratura, dove si riscontrano già a partire dal basso medioevo.
“Cristiana, studentessa alla vicina Lumsa, spiega: I marciapiedi sono stati inventati per farci camminare la gente, ma qui è meglio metterci una croce sopra” (la R. 06.06.14); “Ruvido, grintoso, pronto a sacrificarsi, ma anche a mettere sulla croce gli avversari” (la R. 23.06.14.); “Vittorio Adorni racconta infatti che nei primi mesi del 1965 la Salvarani - a occhio e croce meno rigida dei gelidi kazaki - richiamò la squadra ad un maggiore impegno” (la R. 27.07.2014); “C'è un'ignoranza terribile. Io sto in cuffia da dieci anni: sento parlare la gente. Sento ragazzi di venti, trent'anni che non sanno mettere in croce due parole” (la R. 15.09.2014); “Soprattutto quando il protagonista è il sindaco Giuliano Pisapia, così impegnato a scaraventare la croce addosso all'Aler e alla Regione oggi” (il G. 06.11.2014) “equilibri tattici della Fiorentina, che ancora non ha trovato un assetto stabile e che ha un disperato bisogno di fantasia sulla trequarti, visto che non sempre Cuadrado può cantare e portare la croce” (la R. 20.11.2014); “ecco svelati i segreti della maionese perfetta, croce e delizia di massaie e cuochi in erba” (la R. 13.12.2014).
Croce nel cielo stellato e i simboli dei 4 evangelisti, mausoleo di Galla Placidia, Ravenna, sec. V.
LOCUZIONI LATINE
Amen ‘Così sia’
AMEN!; E AMEN!; IN UN AMEN, IN MENO DI UN AMEN; FINO ALL’AMEN
Amen è parola ebraica passata nelle lingue greca e latina attraverso le traduzioni bibliche e di qui un po’ in tutte le lingue occidentali. Il suo significato originario ebraico di ‘veramente’, si sfuoca, nella conclusione di preghiere e formule sacre, in quello di ‘così sia’.
Di qui, al di fuori del linguaggio liturgico, il termine finisce per esprimere l’idea di conclusione, fine più o meno auspicata e desiderata, persino pazienza. Talora esprime, anche (in un amen, in men di un amen) l’idea di istantaneità, immediatezza, forse anche come conseguenza della stessa esilità del termine che, in quanto conclusione, si oppone ad un discorso, una preghiera, un’attesa lunghi.
L’uso scritto extra liturgico si diffonde ampiamente già dal sec XVIII, per es. G. Baretti.
“Ma la retorica ha la sua liturgia, e capisco che vada celebrata fino all’amen dei nuovi luoghi comuni, quelli che “è finito un ciclo”” (IL F. 25.04.2012); L’Italia è stata assolta dalla colpa di ledere i diritti umani per la presenza di un crocifisso... Era necessaria l’assoluzione della Corte europea. Amen” (Avv. 19.03.2011); “Non era mia intenzione offenderli, se se la sono presa... amen” (il F.Q. 15.11.2012); “ E proprio sul finanziere di Brunico anche ieri si concentravano le speranze azzurre, ma la sua gara è durata un amen” (l’U. 17.02.2014); “ora sfoderano due argomenti. Il primo: un giornale deve stare sul mercato, se non ce la fa si chiude e amen” (l’U. 31.06.2014); “le due squadre si sono ritrovate pari. 6 punti sfumati in un amen, da non credere” (la R. 03.11.2014); “.Parlano le immagini. Se poi non crede neanche a quello che vede, amen...” (la R. 06.11.2014).
Credo quia absurdum/‘Credo perché è assurdo’
IL (NOTO) CREDO QUIA ABSURDUM
L’espressione latina viene attribuita talora a Tertulliano (II-III sec.), talora ad Agostino (IV-V sec.); per la verità in questi due autori cristiani si può riscontrare il concetto, ma non la lettera. È probabile che la sentenza in questione sia di formazione medievale, nata nell’ambito delle speculazioni filosofiche scolastiche, magari ispirata dalla seguente affermazione di Tertulliano: credibile quia ineptum est ‘si può credere perché illogico’.
In ambito profano è abbastanza frequente e tuttavia del tutto al di fuori del contesto filosofico-teologico in cui l’espressione può essere nata, in riferimento a situazioni politiche e sociali, che sarebbero tanto impossibili da dover essere credute. Per lo più l’espressione viene usata a conclusione di un discorso, comunque un periodo a senso compiuto.
“Come ciò si realizzi in pratica resta largamente un mistero. Credo quia absurdum. Funziona. (la R. 11.01.2011); “O in altri termini: bravo Erdogan e ora ti puniamo proprio per la tua bravura. Credo quia absurdum” (il G. 22.01.2014); “Non puoi servire Bruxelles e Roma. Il fideismo europeista è qualcosa di spettacolare: quando si passa dal biascicare “più Europa” ad articolare argomenti, si vede subito cosa c’è che non va, il che però non scoraggia i crociati, perché, come è ben noto, credo quia absurdum” (il F.Q. 21.05.2014).
Crucifige(eum) / ‘Crocifiggi(lo)’
ACCETTARE, FARE, GRIDARE, SUBIRE, URLARE CRUCIFIGE; CORO DEL CRUCIFIGE
Pilato non trova colpa in Gesù, tuttavia per accontentare la folla assetata di sangue e sobillata dai sacerdoti, lo fa flagellare e, incoronato di spine, lo mostra alla folla. Questa non si lascia commuovere ma grida “crucifige, crucifige eum” (Giovanni 19, 1-6).
Il grido della folla ha impressionato e coinvolto nei secoli, ed ancora oggi, milioni di cristiani, soprattutto nei giorni della settimana santa.
Di quel grido si è impadronito anche il mondo laico e ne ha fatto quasi un sostantivo, sinonimo di maltrattamento ingiusto e ingiustificato, di accusa falsa nei confronti di qualcuno ed anche qualcosa, o semplicemente accusa e condanna.
L’uso profano del grido della folla ebraica, si diffonde, a livello scritto, soprattutto dall’inizio del secolo scorso, si veda per es. A. Panzini.
“la fedeltà dei veri amici, la generosità di chi rischia la carriera pur di non piegarsi al Crucifige! della massa” (Avv. 06.04.2007); “L'inganno di una democrazia che diventa banale sondaggio e la denuncia della falsa democrazia del crucifige!” (l’U. 05.06.2013); “La nostra forza è il fatto che siamo determinati e moderati, non siamo qui per fare un "crucifige" e neanche "osanna" a nessun salvatore, anche perché non ce ne sono” (Il S.24 O. 12.10.2013); “Tutti procedono in un impietoso crucifige e invece io mi commuovo al pensiero di uno stakanovista con una ventina di incarichi” (il F.Q. 04.02.2014); “Lo stesso Gattuso è stato informato del crucifige del collega e così commenta: «Ci sono consiglieri del mio partito che dicono: l’hanno cambiato perché lì abita Gattuso. Io non ne faccio una questione personale, ma una questione cittadina»”(Il Gior. 13.02.2014).
Deo gratias/‘Grazie a Dio/ al Cielo’
DIRE DEO GRATIAS; FINALMENTE DEO GRATIAS; ANCORA DEO GRATIAS; GRAZIE A DIO!; GRAZIE AL CIELO!
L’espressione latina, a livello parlato più diffusa nella traduzione ‘grazie a Dio!’, è formula estremamente diffusa nel servizio liturgico, per es. a conclusione della messa in latino il sacerdote dice ‘ite missa est, il popolo risponde Deo gratias. La formula era diffusa nel passato anche al di fuori del contesto liturgico, tra fedeli e religiosi per esprimere fiducia e riconoscenza nella Provvidenza.
Nell’uso profano la formula è passata ad esprimere un generico ringraziamento a Dio (non si capisce bene quale) o, più semplicemente, un sentimento di sollievo dopo una vicenda, una storia, più o meno lunga, più o meno coinvolgente.
Molto più diffusa in bocca ai credenti è la traduzione: grazie a Dio o grazie al Cielo, come esplicita forma di ringraziamento nei confronti della divinità, cui viene attribuita una grazia, il merito di un bene, o quanto meno di un male minore.
Il Deo gratias e il corrispondente grazie a Dio, sulla bocca di un laico suonano pressappoco come ‘per fortuna!’; esprimono sentimenti di sollievo da un’angoscia, di gioia per un evento insperato. Nell’uso scritto, non necessariamente legato a atti liturgici, l’espressione ricorre già in D. Cavalca, ma il significato di ringraziamento è ancora, ovviamente, ben presente.
“Deo gratias, si torna a parlare di pubblicità”(il F.Q. 25.03.2011); “DEO gratias: anche le selezioni di Coppa America sono terminate! (la R. 26.04.2013); “E deo gratias spesso è la giurisprudenza a venire in aiuto” (il F.Q. 21.01.2014); “Mi ritengo fortunato: grazie a Dio, sono ateo!” (il G. 22.12.2012); “Premesso che grazie a Dio sono agnostico (cioè ateo in attesa di non esserlo)” (il G. 12.02.2013); “i tempi delle Primarie, infelici … per la scelta di aprire le urne a quattro giorni dal Natale, quando la gente ha grazie a Dio altro per la testa” (la R. 17.11.2014).
De profundis/‘Dal profondo’
CANTARE, DARE, DECRETARE, INTONARE, RECITARE, SUONARE (UN/IL) DE PROFUNDIS; ESULTARE, RATTRISTARSI PER (UN/IL) DE PROFUNDIS
Così comincia il salmo 129, De profundis ad te clamavi Dmine, ‘dal fondo dell’abisso ti ho invocato o Signore’. Il salmo viene, o meglio veniva, recitato in occasione delle cerimonie funebri.
L’espressione latina, al di fuori del contesto funebre reale, nell’uso profano designa comunque una fine, desiderata, auspicata o anche temuta, immaginata o reale di qualcosa come una carriera, una istituzione, una fortuna, un successo, un oggetto.
“ Gli osservatori del costume cominciano a cantare il de profundis alla moka come oggetto di uso comune” (Avv. 11.02.2013); “Cosa farà Roma dei suoi rifiuti ora che per Malagrotta si canta il de profundis?” (l’U. 11.01.2014); “Per il fixing dell'argento è invece già suonato il de profundis” (Il S.24 O. 24.05.2014); “Sel è viva e gioca la sua partita, nessun reciti un de profundis. Lo sottolinea Nichi Vendola all'assemblea nazionale di Sinistra” (il F.Q. 14.06.2014); “Un de profundis anche per Mediobanca Perché il Corsera è diventato corsaro? (I.O. 08.10.2014); “esultare per il de profundis dell’oliera. «Ci sarà meno olio con il passamontagna in circolazione»” (la R. 24.11.14); “E' però ancora presto per recitare il de profundis del Bitcoin” (Il S. 24.O. 19.01.2015).
Dies irae/ ‘Il giorno dell’ira’
PRODURRE, CANTARE, INTONARE SCATENARE SEMBRARE IL DIES IRAE/DIESIRE
L’espressione latina del lemma altro non è che parte del primo verso della composizione poetica latina attribuita a Tommaso da Celano (XII). La sequenza descrive la resurrezione dei morti, l’arrivo del Giudice, il terrore delle anime in attesa di giudizio. Fino alla fine degli anni 60 del secolo scorso questo inno veniva cantato in occasione delle esequie dei defunti; così tragico, così coinvolgente, così medievale nella sua tipica attesa della imminente fine del mondo, ha ispirato numerosissimi musicisti, nelle loro messe da requiem e molti pittori nella descrizione del giudizio universale.
L’uso corrente e profano, ben lontano dal significato e contesto originario, descrive moti di rabbia in un’ampia gamma di situazioni e contesti, da quello personale, a quello sportivo a quello di manifestazioni popolari, ecc.
La banalizzazione diffusa del significato originario, a livello scritto comincia a documentarsi dal secolo scorso.
“La dinamica della finanza necessita di nuove regole per scongiurare il dies irae dei mercati, il fallimento dell'unica utopia che aveva attraversato indenne il XX secolo” (Il S.24 O. 31.03.209); “Passano pochi minuti dalle prime dichiarazioni, infatti, e le agenzie cominciano ad anticipare i contenuti. Qui Berlusconi scatena il dies irae” (il F.Q. 10.02.2011); “Alleluja cantarono, e intonarono il Dies irae e anche il Va' pensiero, e Bella ciao” (il F.Q. 09.11.2011); “Un dies irae è sempre possibile, ma sotto nessuno in Italia lo cerca davvero” (IL F. 10.08.2012); “Di mezzo, tra dies irae e redde rationem, c’è un tesoro, l’oro di Dongo, sottratto al nemico” (la R. 14.5.2014); “La terza sconfitta casalinga consecutiva ha generato il dies irae della stampa” (la R. 16.11.2014).
Luca Signorelli, particolare del Giudizio universale (1499-1503),
Duomo, Orvieto.
Ecce homo/’Ecco l’uomo’
DIVENIRE, ESSERE, PRESENTARE (UN/LO) ECCE HOMO; ECCE HOMO!
Con queste parole: ecce homo, Pilato presenta Gesù Cristo, flagellato e incoronato di spine, alla folla che ne reclama la morte, nella speranza di suscitarne la compassione e l’indulgenza. Ecce homo nel tempo è divenuto anche il titolo di opere artistiche (dipinti per es. di Caravaggio, Tiziano e tantissimi altri) e letterarie (per es. l’autobiografia di F. Nietsche).
Nell’uso laico, giornalistico corrente l’espressione si è molto banalizzata, quasi dissacratrice, quando usata per presentare personaggi, di questo mondo, più o meno illustri, più o meno tapini, talora non senza sfumature ironiche, esaltate dal palese contrasto.
“Ipocrisie, vizi e sfrontate oscenità: l'ecce homo di una cameriera d'albergo” (Il S.24 O. 22.09.2008); “C'è una sola cosa che torna, come un revenant, ed è lo sguardo interpellante di Moro nelle Polaroid, l'Ecce homo spaurito dietro la maschera” (IL F. 10.12.2012); “Ecce homo, e si chiama Matteo. Dopo ore di drammone al Quirinale esce il governo Leopolda, il migliore oggi possibile. Auguri a Renzi (IL F. 21.02.2014) “«Sa, dottor Feltri, in effetti, con quella Patrizia D'Addario me la sono trovata lì nel letto. Lei che cosa avrebbe fatto al mio posto»? Domanda retorica. Come non compiacerlo? Ho risposto: le avrei dato una botta. «Io tre». Ecce homo»” (I.O. 08.05.2014); “Veder sbocciare un talento simile nel pieno di un Mondiale è sempre un'emozione, anzi è un'agnizione. Di colpo, ecce homo” (la R. 13.07.2014); Quando sbarcai sull’isola ero un “ecce homo”: reggevo con la mano sinistra una busta di plastica dove avevo infilato la testa per proteggerla (la R. 17. 08.2014).
Antonello da Messina (1430-1479), Ecce homo
( copia di F. Tamburi)
Via crucis/‘Via della croce’
ESSERE, PERCORRERE, SUBIRE, VIVERE, UNA/LA VIA CRUCIS
La via crucis è una pratica devozionale, che consiste nel passare davanti a quattordici croci o immagini in cui si commemorano i vari episodi della passione di Cristo. I precedenti risalgono ai primi secoli
cristiani (V-VI sec.) nei luoghi santi; in Occidente la pratica viene diffusa, a partire dal sec. XIV secolo, dai francescani. Tra le meditazioni che accompagnano la pratica, famose sono quelle di Alfonso de Liguori (XVIII sec.).
L’espressione nell’uso laico finisce per designare una sofferenza o un disagio morali o fisici, che si protraggono per un tempo più o meno lungo, e ciò a partire dal secolo XIX.
“Sulla durata del governo nessun dubbio: "La maggioranza non ha problemi di numeri e non mi attende la via crucis che toccò a Romano Prodi"” (il F.Q. 10.08.2014); “Dal giorno dopo che andrà all'incasso di Mattarella, insomma, per Renzi rischia di cominciare una sorta di via crucis” (il G. 30.01.2015); “La via crucis di chi - per via dell'innalzamento dell'età pensionabile introdotta dalla riforma Fornero nel 2011” (la R. 16.09.2015); “Troppa fatica e poco spettacolo, geometrie semplici e scarsa aggressività in partenza rendono l'assalto alla piccola Malta una via crucis” (il F.Q. 03.09.2015).
H. Matisse, Via Crucis , (1949-1951), Cappella di Santa Maria del rosario
Vence (Provenza).
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Beretta Roberto, Da che pulpito…Come difendersi dalle prediche, Casale Monferrato, Piemme, 2006: i limiti della predicazione odierna, la difficoltà di coinvolgere l’ascoltatore e dialogare con lui.
Bertazzoli Raffaella e Longhi Silvia (a cura), La Bibbia nella letteratura italiana, Brescia, Morcelliana, 2011: una serie di contributi relativi a temi e personaggi biblici, come soggetto letterario nelle varie epoche. Ne emerge una reinterpretazione non solo poetica in linea con i tempi, particolarmente evidente dal dopoguerra ad oggi.
Bonomi Ilaria e Masini Andrea (a cura), La lingua italiana e i mass media, Roma, Carocci, 2003: una raccolta di contributi sui linguaggi in uso nella radio, televisione, cinema pubblicità e quotidiani, da cui emergono delle tendenze comuni e un reciproco influsso.
Bonomi Ilaria, L’Italiano giornalistico dall’inizio del 900 ai quotidiani on line, Firenze, Cesati, 2002: studio d’insieme, in diacronia, sui caratteri del linguaggio giornalistico: lessico, grammatica, sintassi, testualità.
Bordwell David e Thomson Christian, Storia del cinema e dei film dalle origini ad oggi, Milano, Mc Graw- Hill, 2010: fondamentale per chi vuole approfondire un secolo di storia del cinema nei diversi aspetti: economico, politico, sociale e persino linguistico.
Capozzi Maria Rosa, La comunicazione pubblicitaria, Milano, Angeli, 2011: studio complessivo non senza un excursus storico. È un libro da leggere per capire come anche l’utilizzazione del sacro può essere uno strumento per il pubblicitario.
Cardinale Ugo, Manuale di scrittura giornalistica, Torino, UTET, 2011: esempi adeguati e suggerimenti efficaci, preziosi per un giornalista che voglia evitare banalità ed errori grossolani di grammatica e sintassi.
Di Bernardino Angelo (direzione), Dizionario patristico di antichità cristiane, voll. I-III, Casale Monferrato, Marietti, 1983-8: strumento molto utile per informazioni solide ed essenziali su concetti, personaggi, città, liturgia e altro dei primi secoli cristiani.
Fallani Giovanni, Immagine di Cristo. Capolavori della pittura, Napoli, Società editrice Napoletana, 1974: il volume riporta immagini belle e significative per l’evoluzione non solo dell’arte, ma anche del rapporto tra l’uomo e Cristo nelle varie epoche.
Formigoni Lia e Di Cesare Donatella (a cura), Lingua, tradizione rivelazione. La chiesa e la comunicazione sociale, Casale Monferrato, Marietti, 1989: una raccolta di saggi in cui il linguaggio della predicazione viene esaminato e inserito nel contesto delle teorie linguistiche delle varie epoche.
Grande Lessico del Nuovo Testamento, voll. I-XVI, Brescia, Paideia, 1965-1992: pratico, essenziale; tocca aspetti linguistici e storici.
Grégoire Reginald, Manuale di agiologia, Fabriano, Monastero di S. Silvestro abate, 1987: manuale esaustivo della storia dell’agiologia come genere letterario, dai primi secoli cristiani ai nostri giorni; viene tratteggiata anche l’evoluzione, nel tempo, del concetto di santità e della figura del santo.
Gualdo Riccardo, L’italiano dei giornali, Roma, Carocci, 2007: un approccio elementare alla lingua del giornale, alla sua struttura, alle funzioni delle varie parti, ad alcuni caratteri del linguaggio giornalistico.
Gucciarelli Cristina, Tozzi il figlio in croce, Firenze, Cesati, 2007: esame interessantissimo del simbolismo cristiano della croce in F. Tozzi.
Il Cristo di tutti. Opere di Mario Lupo. Poesie di David Maria Turoldo. Con scritti di Carlo Bo, Italo Mancini, Valerio Volpini, Ripatransone,
Maroni, 1988: Bellissimi e significativi i crocifissi umani e umanizzati di Mario Lupo.
Landolfi Luciano e Merlin Marco (a cura di), Il sacro nella poesia contemporanea. Con un testo introduttivo di Luzi Mario, Novara, Interlinea, 1999: sotto l’aspetto delle tematiche religiose vengono studiati vari poeti: Rebora, Montale, Bettozzi, Luzi, Ungaretti.
Lurati Ottavio, Per modo di dire, Bologna, Clueb, 2002: alle pp. 135-136 l’autore sottolinea in modo convincente le radici popolari di talune locuzioni legate alla religione, a Cristo e al culto dei santi.
Luzi Alfredo, Maria Vergine nella poesia italiana del 900 in Jannace Florinda (a cura), Maria vergine nella letteratura italiana, in Forum italicum 2000, pp. 337-357: un panorama significativo delle modalità di presenza della Vergine nella poesia italiana, in poeti noti e meno, da Corazzini a Bonchino, da Luzi a Turoldo, a Testori ed altri.
Mazzini Innocenzo, La mitologia che parliamo, Macerata, EUM, 2014: indagine sul linguaggio giornalistico recente relativamente a locuzioni legate in qualche modo alla mitologia antica.
Papuzzi Alberto, Professione giornalista: le tecniche, i media, le regole, Roma, Donzelli,20103: volume prezioso per comprendere il mondo giornalistico e di riflesso anche il linguaggio.
Pfeiffer, Heinrich, Immagine di Cristo nell’arte, Roma, Città Nuova, 1986: interessante soprattutto l’ultima parte, in cui si mostra attraverso significative immagini l’interpretazione soggettiva del messaggio di Cristo.
Rondolino Gianni, Manuale di storia del cinema, Torino, UTET, 2010: una storia affascinante, che parte dai primi film (fratelli Lumière) al Neorealismo; un manuale ricco di dati, con adeguata presentazione di personalità, tendenze, tecniche, ecc.
Sbrojavacca Elena, Tensione spirituale ed echi biblici nella poesia di Luciano Erba, in “Testo” 64, 2012, pp. 117-134:
essenziale, efficace raccolta di brani di Erba a ispirazione religiosa e loro contestualizzazione.
The Oxford Dictionary of the Christian Church, ed. By Laslie Frank and Livingstone Elizabeth Anne, Oxford, University Press, 19973. Esiste anche una edizione ridotta di cui nel 2013 è uscita la terza edizione. Si tratta di uno strumento di agile consultazione, articoli brevi ed essenziali; contiene preziose informazioni su tutti i temi e problemi della chiesa cristiana nel suo insieme.
Copyright 2015 – Innocenzo Mazzini
Tutti i diritti riservati
INDICE
Edizioni 2016
-
Rivista Online - Edizione - Gennaio 2016
-
Rivista Online - Edizione - Febbraio 2016
-
Rivista Online - Edizione - Marzo 2016
-
Rivista Online - Edizione - Aprile 2016
-
Rivista Online - Edizione - Maggio 2016
-
Rivista Online - Edizione - Giugno 2016
-
Rivista Online - Edizione - Luglio 2016
-
Rivista Online - Edizione - Agosto 2016
-
Rivista Online - Edizione Settembre 2016
-
Rivista Onlline - Edizione Ottobre 2016
-
Rivista Online - Edizione - Novembre 2016
-
Rivista Online - Edizione - Dicembre 2016