Categoria: Rivista Online - Edizione - Agosto 2015
È passata da poco la mezzanotte; dopo aver superato la dogana, stanchi ma contenti veniamo accolti all'aeroporto di Tel Aviv dal sorriso raggiante di padre Firas Aridah. Si presenta spiegando il significato del suo nome in arabo, vuol dire "piccolo leone " e lo si capisce dal passo veloce e dalla determinazione con cui ci propone il programma della visita. Intanto dai finestrini della macchina, che ci porta in territorio palestinese, si apre a noi un paesaggio familiare: intravediamo vegetazione e sagome di rocce illuminate dalla luna che ricordano la nostra Sicilia.
La prima impressione, attribuibile ad una intuizione confusa dal buio, viene confermata in pieno la mattina seguente: colline ornate di ulivi, mandorli, noci e...viti circondati da muri a secco si definiscono meglio ai nostri occhi. Ci sentiamo a casa se non fosse che ci salutano con l'espressione "marhabba''; pur essendo un Paese del Mediterraneo non ci aspettavamo tanta somiglianza. Nel nostro primo viaggio che da Jifna porta a Ramallah cominciano però ad emergere nuovi aspetti.
Le case costruite con pietra locale hanno un'architettura squadrata e molto sobria, svettano a tratti i minareti con le cupole dorate, parte della popolazione indossa abiti tradizionali, intensi odori di spezie invadono l'aria. Al ritorno ci attende in parrocchia una tavola imbandita la signora Malak ha preparato per l'occasione involtini di foglie di vite con riso e carne e il "maclube", un risotto di pollo e verdure. Alle 16.30 l'inno Ichmnà, che significa incontriamoci, seguito dal Padre nostro dà inizio alle attività del Summer Camp.
I ragazzi divisi per età in quattro gruppi indossano magliette di vari colori, i capi educatori si occupano alternativamente delle varie fasce d'età proponendo giochi, danze, attività manuali. È previsto nei giorni a seguire anche l'affitto a prezzi modici di una vicina piscina annessa ad un locale ricreativo per trascorrervi gran parte della giornata; il mare, distante diverse decine di chilometri, è un lusso per pochi.
La giovane suor Rita, dell'ordine del Santo Rosario, interviene in tutte le necessità, ma il regista è padre Firas - "abuna" in arabo - che con infaticabile energia oltre a svolgere il consueto lavoro per la parrocchia, amministra i beni del patriarcato latino di Gerusalemme e trascorre parte del tempo in ufficio davanti al computer o al cellulare per mantenere contatti anche interreligiosi così non ci stupiamo se all'improvviso sparisce per una delle tante riunioni nel villaggio o in paesi distanti. Ha instaurato un ottimo rapporto di fiducia con i suoi ragazzi, si diverte e scherza ma soprattutto pianifica e verifica con gli animatori le fasi del campo, riserva momenti alla catechesi e nel frattempo scatta innumerevoli foto da condividere sul web.
Tentiamo di imparare le espressioni arabe di base per comunicare il più possibile, ma le aspirate e le gutturali ci mettono in seria difficoltà, di certo più facile l'inglese che conoscono molto bene; decidiamo di non darci per vinti e troviamo tra le ragazze interpreti molto comprensive che imparano nello stesso tempo i corrispettivi termini italiani. La serata si conclude al Kindergarden, il giardino della scuola dell'infanzia, dove arrivano alcuni genitori, ci sono anche musulmani perché le classi sono frequentate dai loro figli.
Il momento ricreativo è gestito dai giovani che in una stanza hanno approntato un piccolo bar; grida gioiose di bimbi che giocano spensierati nell'area attrezzata si sovrappongono alle canzoni di ritmo arabo ponendo la parrocchia di s.Giuseppe, l'unica cattolica, come punto di sereno ritrovo per la popolazione di Jifna, circa 2000 anime, 850 cristiani tra cui ortodossi, il resto musulmani.
L'incontro con padre Raed, direttore della Caritas di Gerusalemme, ci allarga la visione della situazione dei cristiani in Terra Santa e della popolazione palestinese in genere. E' molto difficile soprattutto nelle striscia di Gaza - "il più grande carcere del mondo" lo definisce - dove gli operatori sono molto attivi nel sostenere i bambini malnutriti o con problemi di salute attraverso un presidio sanitario. Con grande gioia ci mostra la foto con il direttore della Bank of Palestine che ha donato alla Caritas di Gerusalemme un ambulatorio mobile per Gaza. Non è facile ripartire da un luogo così unico; tuttavia sappiamo di aver instaurato un legame di fraternità importante, ci sentiamo insieme operai di una vigna dal terreno difficile da arare, ma che può dare ancora innumerevoli frutti perché i tralci si impegnano a rimanere saldamente attaccati alla Vite.
Come aquiloni nel cielo di Jifna
Visitare i luoghi del passaggio di Cristo sulla terra è stata per noi un'insperata opportunità. L'obiettivo principale infatti era quello di vivere la realtà della parrocchia assegnata alla diocesi netina in ogni sua espressione, offrendo ove possibile il nostro piccolo supporto. Dal momento che il campo estivo, come da programmazione, si è svolto interamente nel pomeriggio, Padre Firas con grande sensibilità ha messo a nostra disposizione persone fidate che ci hanno guidato in quello che potremmo definire sicuramente un pellegrinaggio. Michele, operatore del patriarcato, Abu Fedi, un parrocchiano, e il seminarista Firas rimarranno per sempre cari amici a cui dobbiamo tanto per le indimenticabili esperienze vissute. I nostri volti si sono rivisti di lacrime la prima volta a Betlemme. Impossibile frenare l'emozione, resa ancora più intensa dalla celebrazione eucaristicanella grotta della natività presieduta in forma semplice dal vescovo di Montreal insieme ai giovani della sua diocesi: diversi tratti somatici, diversi colori di pelle espressione di fusione multiculturale, comunione della famiglia umana.
Dal quel momento abbiamo cominciato a leggere ogni tappa dalla prospettiva del nostro compito di inviati. Nazareth ci ha fatto sentire tutta la responsabilità nel rinnovare il "si" del progetto iniziato. Lungo le sponde del lago di Tiberiade in particolare a Cafarnao, presso il monte delle Beatitudini e soprattutto a Tabra la chiesa della moltiplicazione dei pani e dei pesci,incendiata da poche settimane, abbiamo colto i possibili ostacoli al mandato confortati da una Parola che malgrado tutto nessuno può ignorare o cancellare. La Via dolorosa percorsa in tutte le sue stazioni fino al Calvario e al Santo Sepolcro, in una Gerusalemme quasi spoglia di pellegrini, ha richiamato la solitudine e la morte del cuore che spesso accompagnano i cristiani destinate a sfociare, se sostenute dalla fede, nella gioia della resurrezione. Il Getsemani e, qualche giorno dopo a Gerico, il monte delle tentazioni custodito in un magnifico monastero bizantino raggiunto con la funivia, ha posto dinanzi a noi le prove che si insinuano nel nostro procedere quotidiano: la diminuzione dell'entusiasmo, la ricerca di vie di fuga, i falsi bisogni, la presunzione di poterci sostituire o peggio di fare a meno di Dio.
Le acque del Giordano, sebbene le sponde fossero infuocate dalla calura estiva, hanno portato refrigerio anche ai nostri pensieri: abbiamo letto il battesimo di un gemellaggio con la Terra santa che deve necessariamente conformarsi all'umiltà del figlio di Dio, pronto a cingersi il grembiule nel Cenacolo lasciando un testamento di servizio ad una piccola Chiesa, unita e forte solo perché ha ricevuto il dono dello Spirito consolatore e liberatore. È il lieto annuncio che portiamo con noi dopo aver salutato nuovamente Gerusalemme e Betlemme.
Si levano alti ad uno ad uno, spinti dal vento, e dondolano nel cielo pomeridiano, "tamara" li chiamano i palestinesi, aerei di carta, resi ancora più sinuosi da lunghe code di nastri variopinti. Guardano una terra santificata dalla presenza delle tre religioni abramitiche, ma dilaniata dall'incapacità umana di cogliere l'aspetto sostanziale del culto a Dio: ringraziarlo per il dono della vita e custodire il suo progetto di pace e giustizia. La questione arabo-israeliana ancora irrisolta - malgrado le trattative continue e i periodi di tregua - rappresenta uno dei tanti nodi che aggrovigliano negativamente la storia degli uomini. I muri di cemento,simili a sequenze di lapidi senza nome, e le transenne di filo spinato, come spirali di corone, separano popoli della stessa famiglia umana rinnovando la sofferenza di Dio, mai realmente compresa. Ai check-point giovani israeliani dai visi severi; donne e uomini con mimetiche e fucili chiedono nervosamente i documenti, indottrinati ad un contegno che ci pare innaturale per la loro età e non lo pensiamo minimamente esteso ai loro coetanei. Una generazione smarrita nei meandri di una politica intransigente e non sempre flessibile alle aperture.
Sulle colline e su alcuni balconi sventolano con fierezza le bandiere palestinesi perché sia ben visibile la loro presenza e non si confondano le identità. Tutto tende alla divisione, segno inconfondibile di un male radicato nelle coscienze. A Jifna, il cui nome significa 'vigna', una piccola comunità cristiana convive pacificamente insieme a gruppi di musulmani e ortodossi accettando che gli israeliani controllino l'erogazione dell'acqua e l'accesso ad alcune strade. Gente umile e operosa svolge lavori di vario genere: ci sono modesti imprenditori edili, muratori, falegnami, commercianti di generi alimentari in piccole botteghe, lavagisti, meccanici, autotrasportatori.
Le loro attività non sono garantite dalla pensione, l'assistenza sanitaria è privata, copre i servizi di base e non tutti possono permettersela. L'istruzione pubblica non si ritiene adeguata, pertanto strutture e preparazione sono garantite dalla parrocchia a partire dalla scuola dell'infanzia fino alla primaria di primo grado; per frequentare il liceo o l'università' bisogna andare a Ramallah o a Ber-zeit, i centri più vicini. Ma tutto è a carico delle famiglie e le rette non sono economiche, pertanto si aiutano le più bisognose. Per circa un terzo anche l'iscrizione al ''Summer camp'' di 60 shequel, ovvero 12 euro, costituisce una spesa non sostenibile se si pensa che il salario medio e' corrispondente a 500 euro al mese.
All'alba e al tramonto dai minareti il canto dei muezzin fa eco nella vallata alternandosi al suono delle campane che annunciano le messe. Sono espressioni di un sentire la relazione con il divino che non divergono ma si intersecano in trame di suoni e di parole che ci raccontano di un Dio che vince l'odio con l'amore. Gli incontri periodici tra cristiani e musulmani costituiscono altre occasioni di dialogo e confronto che attualmente non sono possibili con gli israeliani. Come aquiloni sul cielo di Jifna vorremmo che il vento si profumasse di pace come i gelsomini arabi, che gli unici fuochi fossero quelli di artificio che comunicano, secondo la tradizione, la fine degli esami di stato e la pubblicazione dei risultati. Potremmo cosi' annunciare il corso di una generazione nuova che cerca l'unione in un bacio di fratellanza tra i popoli, in questi giorni di gemellaggio suggellata anche dall'allineamento dei pianeti nella volta celeste, dono di Dio in queste fresche serate di luglio.
Maria Grazia Modica
Giorgio Abate
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