Categoria: Rivista Online - Edizione - Agosto 2015
Era già ben noto che l’inizio dell’arbitrato internazionale sulla vicenda Enrica Lexie iniziasse con l’essere divisi su tutto. Mi riferisco, in primis, alla dura posizione dell’Unione d’India che ha accusato lo Stato italiano di aver escogitato e condotte manovre poco piacevoli e dilatorie, analizzando in tal modo i forti ritardi di un iter procedurale che, a quasi 4 anni dagli avvenimenti, vede ancora due fucilieri del secondo Reggimento San Marco, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, priva di contestazione di chiari e specifici capi d’accusa.
La discussione sulla domanda di misure temporanee presentate dal nostro Paese è iniziata proprio qualche giorno fa, id est il 10 agosto, data decisa dal Tribunale Internazionale del mare, che ha sede ad Amburgo. Come è stato annunciato in precedenza, le autorità italiane hanno deciso di usare, per raggiungere la soluzione e porre fine a questa via crucis dei due marò, la via arbitrale sancito dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del mare (Convenzione di Montego Bay del 1982), ratificata sia dall’Unione d’India che dall’Italia, mercé il ricorso al fine di ottenere le misure provvisorie. L’Italia ha indicato come giudice ad hoc il professore Francesco Francioni, ordinario di diritto internazionale, che ha già prestato giuramento qualche giorno fa, dinanzi al Tribunale del mare.
Un percorso arduo e difficoltoso quello che aspetta il nostro Paese, per la ragione che, sin dalle prime battute, emerge chiara e irremovibile la posizione dell’Unione d’India la quale ha già manifestato la non volontà di fare passi indietro e che ha chiesto al Tribunale internazionale del mare di rigettare tutte le misure ad interim (temporanee) presentate dalle autorità di Roma. Per quanto riguarda Roma, nella memoria scritta depositata nei giorni scorsi e resa nota con l’apertura dell’udienza, l’Italia comincia dalla rivendicazione della giurisdizione esclusiva in virtù dell’articolo 97 della Convenzione di Montego Bay per giungere all’immunità dalla giurisdizione di Stati stranieri dei due ragazzi, che erano nelle vesti di organi dello Stato, in quanto dipendenti e, quindi, al servizio dello Stato italiano.
Contestata, importante menzionarla, la restrizione alla libertà personale del sottoufficiale Salvatore Girone, che è tenuto in pratica come ostaggio dalle autorità indiane, come si è espresso l’ambasciatore italiano, all’apertura della prima udienza, asserendo che “ per l’Italia, Salvatore Girone è un “ostaggio” in India”. Chiara la risposta di New Delhi. “Gode di un vita confortevole” e “definirlo un ostaggio è inappropriato e offensivo”. La dichiarazione del diplomatico, a parere mio, dato che è scritto nelle richieste alla Corte, potrebbe non favorire la posizione del giovane militare. L’Italia, nella sua memoria, ha anche menzionato il precedente del caso “The Arctic Sunrise”. In quell’occasione il Tribunale di Amburgo, il 22 novembre 2013, aveva concesso le misure provvisorie ordinando alla Russia di rilasciare il personale dell’equipaggio detenuto.
L’Unione d’India contesta che si tratti di una controversia legata alla navigazione, sostenendo che non vi è stato nessun incidente di questo tipo, ma un fatto che ha provocato la morte dei due pescatori indiani. Le autorità dell’Unione d’India, in questo modo, negano la giurisdizione del Tribunale di Amburgo e non manca di stigmatizzare l’atteggiamento dell’Italia anche con riguardo all’impegno preso di far rientrare i due fucilieri della Marina italiana in permesso in Italia e l’improvviso mutamento d’idea dell’allora Governo, presieduto dal primo ministro Mario Monti, salvo poi tornare nuovamente indietro e consegnare i due militari. Vedremo il seguito di quest’assurda e complicata vicenda.
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