Categoria: Rivista Online - Edizione - Luglio 2015

   Milano, – In viaggio ferroviario da Verona a Lugano (Svizzera) per incontrarmi con il presidente d’un organismo socioculturale internazionale, scendo a Milano per il cambio treno.

  

Piazzale della Stazione Centrale di Milano.

 

   E, avendo a disposizione circa un’ora di tempo, mi metto subito a cercare le tracce più evidenti di quanto i media subalterni e di regime continuavano a raccontare. Cioè dell’occupazione di interni ed esterni della Stazione Centrale da parte di “migranti-clandestini-profughi-richiedenti asilo-fuggiaschi” o come più può far comodo chiamare questa massa lasciata ad arrangiarsi all’interno dei confini d’Italia. Nazione che per loro, stretti tra il regolamento Dublino II, la chiusura a cerniera delle frontiere verso Francia, Svizzera ed Austria, i Centri d’identificazione ed espulsione (Cie) colabrodo, lo “sfruttamento buonista” da parte di chi campa e fa affari d’oro con “l’emergenza immigrazione”, somiglia sinistramente ad un campo di concentramento e non ad un’anticamera di possibilità di vita banalmente umane.

 

   Percorrendo le scale dall’accesso ai binari all’uscita passo vicino ai tanto citati “mezzanini” che le immagini televisive mostravano strapieni di “migranti” arrivati dal sud. Sono ora ripuliti, transennati e chiusi all’utilizzo abitudinario (quello degli utenti ferroviari in attesa). Così la situazione innescata dall’anomalo afflusso costringe anche i normali ed incolpevoli viaggiatori a stare sulla stessa barca (anche se non quella con cui tanti s’erano avventurati su barconi dal nord Africa verso la cosiddetta Europa Felix), cioè senza poter usufruire d’un ovvio spazio dove aspettare treni, coincidenze o quant’altro.

 

Un “mezzanino” dell’interno della stazione liberato e… transennato…

  

Nel piazzale antistante la stazione la presenza del “popolo in fuga” non m’appare particolarmente drammatica, dopo la fase della saturazione dei giorni precedenti e delle soluzioni di ripiego adottate spostando (semplicemente) il problema altrove.

   Gruppi qua e là di giovani uomini e donne, nei giardini e sotto ripari dal sole, con bagagli, borse e pacchi vari, formano un centinaio d’irriducibili o di neo arrivati in annoiata aspettativa di chissà chi, cosa e quando.

   Mentre è lungo il lato esterno destro (quello da cui partono i vari collegamenti per e dall’aeroporto di Malpensa, ufficialmente Aeroporto “Città di Milano”) che s’agitano altri stranieri venuti dal Mediterraneo.

   Lì, infatti,  funziona l’assistenza, con un banco esterno, gestito da poliedrico mondo del volontariato con probabili supporti del Comune di Milano, che distribuisce cibo e bevande. E, vicino, un posto mobile della Croce Rossa Italiana assicura, per quanto possibile, un servizio sanitario di base.

 Servizio volontari

    Alcuni volontari s’improvvisano (e si mascherano) perfino da clownterapeuti per tirar su il morale di chi, certo stanco e forse avvilito, s’avvicina loro in silenzio ma non mi sembra che l’effetto rasserenante sia scontato o compreso. Probabilmente è del tutto fuori luogo o patetico…

   Rientro in stazione per prendere l’Eurocity 16 diretto a Zürich/Zurigo e, dopo aver scorto nel vagone una donna con bambini dai tratti somatici africani, mi chiedo se riusciranno a passare la frontiera italo-svizzera di Chiasso dove so per esperienza che salgono a bordo severi poliziotti elvetici per controlli e respingimenti.

   Infatti, non appena il treno si ferma appunto a Chiasso (comune svizzero nel Canton Ticino), un nerboruto e cerbero agente della Guardia di confine, deciso e risoluto, controlla visivamente tutti (me compreso) e poi chiede alla signora accennata da dove venga. La sua risposta («Dal Sudan…») è come una condanna.

                                                                              

L’agente svizzero della Guardia di confine (Grenzwache, Garde-frontière) mentre prende

i bagagli della signora sudanese con bambini per accelerare la loro discesa a Chiasso.

   La invita bruscamente a scendere con bambini e bagagli ed il convoglio, poco dopo, riparte verso Lugano. Senza donna e bambini sudanesi, uno dei quali scorgo accanto alla finestra dell’interno d’un ufficio affacciato sui binari, serio o triste, forse abituato o rassegnato ad una nuova umiliazione, all’ennesimo impedimento al semplice diritto a cercare un’altra esistenza, magari meno arcigna. Succedeva così anche con gli ebrei, nella lunga e feroce “eclisse totale della coscienza” del nazismo?  

 

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