Categoria: Rivista Onlline - Edizione Ottobre 2015
I flussi migratori delle ultime settimane, che stanno invadendo molti Paesi membri dell’UE, ha aperto una breccia circa la discussione sulla necessità o meno di sospendere il Regolamento UE n.604/2013 – c.d. Dublino III – entrato in vigore nel 2014. Si menzioni il testo originale che ha visto la luce agli inizi degli anni novanta del secolo scorso, dove i rappresentanti di dodici Stati membri della CEE decisero di stipulare e, poi, ratificare, un accordo o trattato internazionale in tema di diritto d’asilo. Nel 2003, tutto il nucleo dispositivo della Convenzione del 1990 è stato inserito nel Regolamento CE 343/2003 – c.d. Dublino II – per ricordare la sede dove tale trattato fu stipulato, successivamente modificato, sino all’attuale stesura.
Il principio informatore del Regolamento, di cui si sta trattando, che come tale non a bisogno di nessun atto di recepimento da parte degli Stati membri e che va attuato in modo diretto nei loro ordinamenti interni, è quello in base a cui la domanda d’asilo da parte degli individui provenienti da Paesi terzi o extracomunitari che probabilmente hanno ragione di fuggire da una guerra o da persecuzioni di natura politica o religiosa, vada presentata nel primo Stato membro dell’UE in cui fa si entra.
La ratio era, ma ancora oggi valevole, quella di fare in maniera che uno degli Stati membri dell’UE si occupi del richiedente. Ma entrare fisicamente in Paese dell’UE non implica del tutto una totale libertà di spostamento nell’area dell’Unione per i cittadini richiedenti asilo. Da questo punto si affaccia il problema oggi incalzante, cioè a dire che vi sono alcuni Stati come il nostro e la Grecia che, per ragioni di natura geografica, rappresentano una specie di passaggio obbligatorio per coloro che migrano che non hanno il desiderio di rimanere nei due Stati poc’anzi citati, ma sono vincolati in virtù di Dublino III – c.d. Regolamento UE n.604/2013.
La difficile situazione, d’altronde non più sostenibile, ha fatto sì che gli Stati più gravati dai flussi migratori abbiano favorito il passaggio dei migranti trascurando l’identificazione, per fare in modo che potessero inviare la domanda nello Stato dove desideravano realmente ottenere la residenza. Una netta violazione del Regolamento UE, tollerata dagli Stati membri che l’hanno firmata, fino al momento in cui il numero dei richiedenti asilo non ha subito un alto livello. Ora, il problema inizia a farsi arduamente sostenibile da quegli Stati che se ne sono fatti maggiore carico. Per alcuni altri Stati, si pensi all’Ungheria. È molto consistente la tentazione di sfruttare a loro vantaggio il Regolamento UE n.604/2013, che dà la possibilità ai Paesi membri dell’UE di respingere coloro che migrano che hanno presentato la domanda d’asilo a uno Stato diverso da quello dove si trovano al momento dell’identificazione.
Davanti a questa emergenza umanitaria, sono state presentate delle proposizioni circa la sospensione di Dublino III, che consentirebbe agli Stati membri dell’UE di esaminare le richieste d’asilo dei rifugiati che oltrepassano le frontiere, indipendentemente dalla presenza di una antecedente richiesta presentata agli uffici di un altro Stato.
Una soluzione di tale fattispecie, d’altronde, avrebbe i caratteri dell’unilateralità, non essendo previsti casi si sospensione del Regolamento UE, ma quelle che permettono agli Stati membri dell’UE di favorire il ricongiungimento familiare di colui che presenta la richiesta d’asilo, che, su iniziativa dello Stato dove è presentata la richiesta d’asilo, può essere preso in carico dallo Stato dove risiedono cittadini legate da vincolo di parentela al richiedente. Tutto ciò è enunciato nell’articolo 17, paragrafo 2, del Regolamento UE 604/2013, secondo cui lo Stato membro nel quale è manifestata la volontà di chiedere la protezione internazionale e che procede alla determinazione dello Stato membro competente, o lo Stato membro competente, può, in ogni momento prima che sia adottata una prima decisione sul merito, chiedere a un altro Stato membro di prendere in carico un richiedente al fine di procedere al ricongiungimento di persone legate da qualsiasi vincolo di parentela, per ragioni umanitarie fondate in particolare su motivi familiari o culturali, anche se tale altro Stato membro non è competente ai sensi dei criteri definiti agli articoli da 8 a 11 e 16. Le persone interessate debbono esprimere il loro consenso per iscritto. In mancanza di una disposizione condivisa e obbligatoria, la maggiore elasticità del sistema si fonderebbe sulla disponibilità dello Stato ultima tappa del richiedente asilo.
Tuttavia, il diritto d’asilo come tale è tutelato, non solo dall’articolo 10, paragrafo 3, della Costituzione della Repubblica italiana – in cui si enuncia che lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge –, dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo nell’articolo 14, paragrafo 1– in base al quale ogni individuo ha diritto di cercare e di godere in altri Paesi asilo dalle persecuzioni – e dalla Convenzione di Ginevra del 1951sullo status del rifugiato enucleato nell’articolo 1, dove viene riportata la sua definizione. Quest’ultima disposizione non potrà essere scartata nel momento in cui l’UE avvierà la riforma del sistema d’accoglienza che, per come si presenta, non è capace di affrontare una simile emergenza.
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