Categoria: Rivista Online - Edizione - Marzo 2015

Ormai, è un dato di fatto che in Libia non vi è più un’autorità governativa che abbia il controllo su tutto il territorio libico, si può dire che stia vivendo in un’assoluta anarchia. Nell’ambito del diritto internazionale è definito tale fenomeno come un faile State (id est Stato fallito). Le autorità centrali presenti nella città di Tobruk , riconosciuto dalla comunità internazionale quale governo legittimo, non hanno più la capacità di controllare ogni angolo del proprio suolo.

Gruppi terroristici collegati all’ISIS sono divenuti padroni, cagionando terrore fra i molti stranieri presenti, ivi i nostri connazionali, di cui l’ambasciata italiana, unica rimasta funzionante a Tripoli, sta invitando i connazionali a lasciare al più presto la Libia, e causando il calo della produzione di petrolio in modo verticale. La vendita illecita del greggio e il traffico di armamenti hanno aggravato sempre più la situazione, diventata molto pericolosa con la proclamazione di un califfato islamico. 

Si è in presenza di un forte rischio che la Libia divenga una seconda Somalia. La sua deframmentazione con la nascita di due o tre Stati indipendenti non ha avuto, almeno per il momento, la sua realizzazione, sebbene alcune tribù e bande armate non riescono ad organizzarsi come entità statale.

Dei tentativi adottati da alcuni organismi internazionali non hanno fino ad oggi ottenuto alcun ottimo risultato. A prescindere dall’EUBAM (Union Border Assistance Mission), missione civile dell’UE, delle speranze sono riposte nelle mani dell’UNSMIL (United Nations Support Mission in Lybia); missione non armata, ma politica, mirante a favorire il dialogo fra i differenti gruppi che costituiscono il mosaico libico. Questa missione agisce sotto l’egida del Segretario Generale delle Nazioni Unite, attraverso l’inviato speciale Bernardino Leon e non ha la caratteristica di missione di peace-keeping che, di regola, viene dispiegato sul territorio di uno Stato. Il nostro Paese ha sostenuto il suo totale supporto all’inviato speciale delle Nazioni Unite, offrendo la propria disponibilità a favore di un intervento di truppe solo sotto l’egida della decisione che potrà essere adottata dal Consiglio di Sicurezza, sgomberando l’idea di intervenire in modo unilaterale.

Vediamo un po’ quali possono essere le opzioni lecite sul piano del diritto internazionale. La minaccia di un attacco di missili che possono essere lanciati dalle coste libiche o l’attacco di un gruppo di terroristi verso il suolo italiano non va posto in secondo piano, date le minacce degli ultimi giorni di voler colpire l’Italia. In questo caso, il nostro Paese potrebbe far scattare il sistema di reazione per legittima difesa, senza dover ricorrere alla richiesta di autorizzazione del Consiglio di Sicurezza. Ormai è ben consolidato il fatto che l’autotutela o legittima difesa può essere attuata non solo nei riguardi di uno Stato, ma pure neri confronti di attori non statali. La reazione potrebbe scattare solo dopo che l’attacco armato sia stato sferrato, ma anche quando esso sia imminente. 

Un altro aspetto importante da tenere presente è che gli alleati potrebbero intervenire a favore del nostro Paese, membro della NATO, che avrebbe il diritto di invocare l’articolo 5 del Patto atlantico, secondo cui le Parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse in Europa o nell'America settentrionale sarà considerato come un attacco diretto contro tutte le parti, e di conseguenza convengono che se un tale attacco si producesse, ciascuna di esse, nell'esercizio del diritto di legittima difesa, individuale o collettiva, riconosciuto dall'ari. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti così attaccate intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti, l'azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l'uso della forza armata, per ristabilire e mantenere la sicurezza nella regione dell'Atlantico settentrionale. Ogni attacco armato di questo genere e tutte le misure prese in conseguenza di esso saranno immediatamente portate a conoscenza del Consiglio di Sicurezza. Queste misure termineranno allorché il Consiglio di Sicurezza avrà preso le misure necessarie per ristabilire e mantenere la pace e la sicurezza internazionali. Ma pure nell’ambito dell’UE dove nell’articolo 47 che statuisce che in caso di aggressione i partner europei sono obbligati a fornire all’aggredito aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso. L’azione in legittima difesa può durare per tutto il tempo necessario e comportare una presenza armata in territorio libico. 

Come è ben noto l’impiego di forze di peace-enforcement necessità dell’avallo del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e che comporterebbe uno stabile dispaccio di una forza multinazionale sul suolo della Libia, che miri a pacificare il territorio e ricostruirne l’ordinamento istituzionale. Cosa importante è che questa presenza di truppe potrebbe operare sia sotto l’egida del Segretariato Generale delle Nazioni Unite, che sotto il comando di uno Stato.

Altro aspetto da tenere in risalto è costituito dalla coalizione di volenterosi, cioè a dire di un’operazione senza la copertura delle Nazioni Unite, ma quest’aspetto senza l’assenso dello Stato sovrano e senza l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza è considerato non lecito.

Rispetto alle operazioni di peace-enforcement, quelle di peace-keeping ha come fine quello di mantenere la pace, evitando di favorire l’una o l’altra parte che è in lotta e la forza di pace non è autorizzata all’impiego dell’azione coercitiva armata, se non nel caso di proteggere i propri membri.

Ritornando a un probabile intervento militare da parte dell’Italia, è d’uopo menzionare che essa deve fare i conti con il Trattato d’amicizia, partenariato e cooperazione stipulato dall’allora presidente del consiglio Berlusconi e il dittatore libico Gheddafi, nel 2008. In quell’accordo si riscontrano due norme che evidenziano l’inibizione della minaccia e dell’impiego dell’azione armata e determinano il divieto di compiere atti ostili in partenza da entrambi i territori. Disposizioni che, ovviamente, furono affrontate nel 2011, quando il nostro Paese assieme ad altri, intervenne in Libia per far cadere il potere assoluto del leader libico. Queste norme, poc’anzi citate, non sarebbero di ostacolo se ci si trovasse in legittima difesa. L’unica perplessità potrebbe comparire in relazione a un atto armato non autorizzato dall’autorità competente delle Nazioni Unite e non in legittima difesa. In ogni caso, farebbe bene il governo italiano a tenere alta la guardia e a prendere seri provvedimenti sull’arrivo incontrollato di imbarcazioni piene di essere umani che partono proprio dalle coste libiche, come si dice che tra 100 migranti, 10 possono essere terroristi dell’ISIS.

 

di GIUSEPPE PACCIONE - Esperto di Diritto internazionale e dell’UE

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